Una istituzione laica nell'Italia clericale: i Convitti Nazionali o Reali Collegi

Una istituzione laica nell'Italia clericale: i Convitti Nazionali o Reali Collegi

Ho frequentato il Convitto nella seconda metà degli anni 70.
Negli anni successivi, mi è capitato di tornarci, ma sempre più raramente.
Forse fra quelle mura più che altrove ho imparato il valore della libertà e della laicità e del rispetto.
Ed è questa consapevolezza che mi spinge oggi a interrogarmi su questa istituzione, sul suo significato storico e sociale e sulle idee che l'hanno concepita, voluta, promossa e sostenuta, idee che attraversano come un fiume carsico due secoli di storia del nostro Paese e che sono spesso contigue (per non dire figlie dirette) a quelle della Massoneria. È questa idea di essere stato figlio inconsapevole della Massoneria molto prima di diventare massone che mi ha spinto a scrivere queste poche righe, in cui cerco, con i limiti del dilettante, di tracciare qualche linea guida storica sui Convitti e sugli uomini che li hanno creati.
I Reali Collegi nascono, spesso su istituzioni e strutture preesistenti, negli anni immediatamente successivi all'Unità d'Italia.

 


Laddove il neonato Regno realizzò che le strutture di accoglienza per i giovani della provincia erano controllati al 100% da organizzazioni religiose (con la sola eccezione di Parma), si pose anche il problema di presentare una offerta formativa alternativa, laica. Il problema riguardava maggiormente la vasta provincia italiana e solo marginalmente i grandi centri urbani. Per questo, con alcune significative eccezioni (tra cui l'Umberto I di Torino, il Vittorio Emanuele II di Roma o l'omonimo di Napoli), si costruì una vasta rete di Reali Collegi nei capoluoghi più isolati, con lo scopo di alloggiare gli studenti fuori sede, di norma provenienti dai paesi e villaggi della provincia.
Gli edifici adattati allo scopo erano molto frequentemente strutture appartenute ad enti religiosi e ad esse sottratte in seguito alle “leggi eversive”.
La maggior parte di questi istituti vennero intestati a personaggi locali, distintisi nelle arti o nelle scienze.
Su 41 Convitti Nazionali (assumeranno questa denominazione nel ventennio fascista, investiti dalla riforma Gentile) oggi attivi 5 sono intestati a Fratelli Massoni di chiara fama: Domenico Cirillo a Bari, Mario Pagano a Campobasso, Cesare Battisti a Lovere, Melchiorre Delfico a Teramo e Gaeta - no Filangieri a Vibo Valentia. Dieci invece sono intestati, come comprensibile, a membri della Casa Reale. Nessuno è intestato a figure religiose o santi. Il Convitto Nazionale di Maddaloni, in provincia di Caserta, è intestato a Giordano Bruno, figura quanto mai popolare negli ambienti massonici dell'epoca (e anche successivi).
Gli edifici che originariamente appartenevano a enti ecclesiastici e che portavano nomi conseguenti furono rinominati a figure laiche.
Esemplare è il caso del Vittorio Emanuele II di Napoli: già Ferdinando IV vi aveva fondata la “Casa del Salvatore” dopo averne espulsi i Gesuiti. Nel 1807 Gioacchino Murat, illustre Massone, lo tra- sformò in “Liceo del Salvatore”. Nel 1828 i Gesuiti, ritornati nel Regno di Napoli, lo chiamarono “Collegio dei Nobili”. L'arrivo di Garibaldi, con il conseguente scioglimento dell'ordine dei Gesuiti e la nazionalizzazione dei loro beni, ne fece quindi, e definitivamente, il “Convitto Nazionale Vitto- rio Emanuele II”.
Un analogo percorso fu quello del Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II di Roma, così denominato nel 1891 dalla legge Casati.
Gabrio Casati, Ministro della Pubblica Istruzione, riformò in modo organico l'intero ordinamento scolastico confermando la volontà dello Stato di farsi carico del diritto-dovere di intervenire in materia scolastica a fianco e in sostituzione della Chiesa cattolica che da secoli deteneva il monopolio dell'istruzione, introducendo l'obbligo scolastico nel regno.
Ancora più significativo è il caso del Convitto Nazionale Giordano Bruno di Maddaloni, in provincia di Caserta. Ha sede in un convento francescano, trasformato, con leggi successive prima da Giuseppe Bonaparte e poi dal solito Gioacchino Murat, in Real Collegio. Nel 1865 assume l'attuale denominazione, intestandosi a Giordano Bruno, martire del libero pensiero. I più maliziosi possono intravedere in questi cambi la precisa volontà di un contrappasso.
A guardare la storia dell'istituzione, si intravedono molti tratti di influenza massonica. Nulla però di esplicito e dichiarato, se non, forse, lo spirito di un'epoca.
Forse per la generale e generica influenza della Massoneria, forse per il successo del positivismo, l'idea di Stato liberale evolve sempre più verso quella di Stato laico, che prevede la progressiva estromissione della religione cattolica dalla scuola pubblica e dalle istituzioni in genere, forse tutto questo gioca a favore e concorre a formare, pur senza avere espliciti crismi massonici, una certa idea di scuola di cui i Convitti fanno parte essenziale.
Bisogna quindi considerare il contesto e il sentire di tutta un'epoca. Bisogna perciò cominciare dalle “leggi eversive”. Che sono eversive in quanto mirano ad abbattere, rovesciare gli Ordini e le Corpo - razioni religiose e che sono la più chiara cartina di tornasole del sentimento anticlericale su cui, il 7 luglio del 1866, si cominciò una vasta opera di ridimensionamento del potere temporale della Chiesa. Ben 1322 monasteri furono soppressi e i beni privatizzati.
Tuttavia, per diversi motivi che esulano dalla presente ricerca, nel 1895 il massone Crispi, alla Camera, ammise che la battaglia contro gli ordini ecclesiastici era da considerarsi persa.
I termini stessi usati riflettono una disposizione allo scontro frontale (si parla di abbattimento, rovesciamento, di battaglie, etc.) con cui i governi di quegli anni, tutti di stampo massonico o profonda- mente influenzati dalla massoneria, affrontano i rapporti con il potere ecclesiastico. Vi è insomma forte la consapevolezza che una nazione moderna, libera e liberale, debba essere anche laica. Tanto quanto è forte la determinazione a ridurre fin dove possibile la capacità di influenza della Chiesa, determinazione che assume, inevitabilmente, le idee e i toni di un violento anticlericalismo.
Ma se erano ben evidenti gli effetti a breve termine di questa azione, non sfuggiva che su prospettive di più lungo periodo bisognava incidere nella cultura e nella formazione delle nuove classi diri- genti. Bisognava cioè formare una gioventù italiana libera da catechismi e timori reverenziali. Non si poteva lasciare “ai preti” di plasmare e formare i giovani uomini a cui era affidato il futuro della Nazione.
Ma non bastava. La legge Casati, dal nome del Ministro dell'Istruzione Gabrio Casati, per la prima volta introduce il concetto di scuola dell'obbligo. Riconosce l'autorità paterna e l'iniziativa privata ma riserva all'autorità pubblica il rilascio di diplomi e licenze. Introduce l'istruzione elementare obbligatoria e gratuita per il primo biennio, assegnandone la cura ai Comuni.
Per puntualizzare meglio l'ispirazione liberale e laica della legge, è necessario ricordare che, pur prevedendo la “dottrina religiosa” fra le materie di insegnamento, sin da subito essa dava alle famiglie la possibilità di chiederne l'esonero.
Né si può non ricordare che nel 1861 (all'Unità) la popolazione italiana maschile era completamente analfabeta per il 74% mentre quella femminile per l'84%, con punte del 95% nel sud.
Nel 1877 la legge Coppino elevò a tre anni la scuola obbligatoria e gratuita, cercando al contempo di renderne effettivo il portato obbligatorio (le condizioni economiche e sociali del Paese lo avevano reso di fatto inapplicabile) e modificando alcuni elementi della legge precedente.
È evidente, sia pure con tutti i limiti (molti dei quali storicamente perfettamente inquadrabili e comprensibili), uno sforzo enorme per strappare dalle tenebre dell'analfabetismo tutti gli italiani che, per citare D'Azeglio, si stavano facendo.
In tutto questo, non c'è nulla di direttamente massonico.
Se non si considera l'urgenza di illuminare di scienza e coscienza il Paese.
Se si tralascia che i Primi Ministri e buona parte dei Ministri che si succedevano al governo del Paese erano in gran parte massoni.
Se si ignora che Michele Coppino, di Alba, era massone e che la sua riforma introdusse, tra le materie di insegnamento le “nozioni dei doveri dell'uomo e del cittadino” al posto dell'insegnamento religioso, che poteva essere effettuato solo a richiesta e fuori dall'orario scolastico, Michele Coppino, dicevo, era stato iniziato il 17 febbraio 1860 nella Loggia “Ausonia” di Torino.
Quel Michele Coppino, figlio di un ciabattino e di una cucitrice, che ottenne per meriti una borsa di studio che gli consentì, a 22 anni, di laurearsi in belle lettere. Che già nel 1849 pronunciò il discorso Della educazione qual mezzo di nazionale Risorgimento.
Che nel 1871, in una discussione alla Camera sulle guarentigie, pronunciò un discorso in cui corre- vano espressioni come «Noi che abbiamo sancita la libertà di coscienza […] noi che abbiamo con- sacrata la libertà del pensiero, della parola, di tutte le opinioni; […] che riconosciamo a tutti la libertà di riunirsi, di associarsi; noi i quali alla libera esplicazione di tutte le forze che sono negli in- dividui non abbiamo posto che un freno solo, una condizione sola, quella di non ledere la libertà altrui».
Che, da Ministro dell'Istruzione, scrisse: «O le scuole contengono in sé una minaccia pel nostro avvenire, e non resta se non sopprimerle; o sono la forza più poderosa per affrettare il miglioramento civile, e ne viene conseguenza di procacciar loro la maggiore efficacia possibile, non soltanto con l'accrescerne il numero, ma anche col renderle più frequentate».
E ancora: «Noi dobbiamo senza avventataggini e senza imprudenze, ma anche senza timori prestabiliti e con fede aperta nelle idee, che degli altri fecero la grandezza e la forza, risolverci a svecchiare dal fondo il nostro paese, inoculandogli, se così si può dire, i germi di un processo omogeneo e di pacifico e ordinato risorgimento... Dove, per forza di tradizioni tenaci, è tardo e restio lo svolgimento della coscienza religiosa, la scuola rimane l'unico mezzo di elevar gli uomini alla pari colle istituzioni liberali e di mettere nel modo di pensare e nell'animo di tutti il fondamento di riforme che altrimenti non penetrano nei costumi e rimangono alla superficie a modo di piante senza radici».
Niente di direttamente massonico, dicevo. Se non un sentimento diffuso, fatto di laicità e anticlericalismo, e un desiderio di portare luce dove prima regnavano le tenebre dell'ignoranza, di portare uguaglianza e giustizia sociale laddove prima c'erano servi della gleba, e la convinzione che la pie- tra grezza di una intera Nazione poteva essere sgrossata e fors'anche levigata solo da una diffusione
il più possibile vasta e capillare di istituzioni esplicitamente incaricate di promuovere la cultura e la coscienza civile dei giovani italiani.
È da tutto questo che nascono i Convitti Nazionali. Oasi di cultura laica in un mare di analfabetismo e di sottosviluppo umano e culturale. Oasi da cui muoveranno i loro primi passi i protagonisti delle arti, delle scienze e della politica del Paese. Dai corridoi dei Convitti sono passati, tra gli altri, Gabriele D'Annunzio (33° grado della Gran Loggia d'Italia), Francesco Saverio Nitti (Primo Ministro), Curzio Malaparte, Bettino Ricasoli (Massone), Tommaso Landolfi (scrittore), Paolo Mieli (giornalista e scrittore), Emanuela Orlandi, Luigi Luzzatti (Massone), Cesare Musatti (psicologo e psicoanalista), Franco Basaglia (psichiatra), Renato Brunetta (politico), Pietro Cossa (drammaturgo), Vittorio Zincone (giornalista), Luigi Settembrini (Massone) oltre a pletora di artisti, dirigenti, industriali, letterati, scienziati e personaggi che, in un modo o nell'altro, sono stati protagonisti della vita pubblica di questo Paese.
Io ho trascorso gli anni della formazione lì, in un Convitto Nazionale. Lì ho imparato la vita comunitaria e sociale. Ricordo ancora la voce nasale del Rettore, un uomo di straordinarie qualità umane, di dedizione totale e di esemplare rettitudine morale.
Ricordo una idea di educazione che andava ben oltre le materie scolastiche e che invece era preparazione alla vita, piena e libera.
In tanti siamo passati fra quelle mura e per quelle scale seicentesche.
Oggi siamo sparsi per il mondo, alcuni con ruoli importanti, altri più modesti.
Forse, tutti figli di una Massoneria di idee forti e orgogliose, capace di progettare e realizzare (pur con tutti i limiti) la formazione di una nazione, l'elevazione culturale e sociale di un popolo.
Una Massoneria moderna e attiva, priva di timori nello “sporcarsi le mani”, che affronta a viso aperto e ad armi pari il più forte dei poteri dell'epoca, quello ecclesiastico. Senza complessi di inferiorità e senza paure reverenziali.

 

F.A. 

Delta on-line

Delta on-line, erede della storica pubblicazione, ha lo scopo di comunicare più agevolmente e ad un maggior numero di lettori articoli di cultura massonica.

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