L'Europa era più unita nel Settecento che adesso? Per molti aspetti, non lo era affatto. Il Potere era come le “bolle d'acqua”: una forza della natura. Come il “dito di Dio”, colpiva duro qui e là, in tempi e modi imprevedibili. Travolgeva e annientava o risparmiava. Molti morivano in fasce, i più avevano una speranza di vita di circa vent'anni. Taluni, fortunatamente ai margini della Storia, morivano decrepiti, con gli occhi infossati nei ricordi.
La generalità della popolazione era stanziale. Contadini e montanari campavano dove nascevano. La maggior parte degli abitanti delle città, quasi tutte murate, di rado usciva dal proprio quartiere. Lì aveva il necessario, per il corpo e soprattutto per la salute eterna. La parrocchia era la misura della vita, cadenzata da campane, preghiere, processioni, pellegrinaggi al santuario fuori porta per le feste annuali in cerca di miracoli. L'unità del continente aveva il volto della guerra: invasioni, scorrerie, armate in transito da un capo all'altro dell'Europa, specialmente attraverso i valichi alpini, come il “cammino degli spagnoli”: migliaia di soldati che, come cavallette, divoravano le risorse dei territori via via percorsi, mentre gli ufficiali si facevano ospitare dai notabili, lasciando alle spalle sgradevole memoria delle loro “dragonnades”.
Da parafulmine funzionava un reticolo di “società”: ordini e confraternite religiose,
corporazioni di mestiere, congreghe di affari e militari, un universo disgregato con l'avvento degli Stati nazionali tra Otto e Novecento. La prima spallata fu data a metà Settecento, con l'offensiva che nel 1773 costrinse papa Clemente XIV a sciogliere la Compagnia di Gesù, 460 anni dopo la condanna dei Templari da parte di Clemente VI, in combutta con Filippo IV il Bello, re di Francia.
Le grandi rivoluzioni di fine Settecento hanno sostituito la persona con il cittadino. Un'operazione abile. Iniziò con la promessa dei diritti dell'uomo. Continuò con l'imposizione di obblighi e di divieti, che si sommarono agli asfissianti precetti delle chiese. I secondi prevalsero sempre più sui primi. Alla fine il cittadino si ritrovò, come si trova,“statizzato”: identificato con Destini e Alte Missioni volute da altri e chiamato al sacrificio di sé in nome di scelte non sue. Vano ribellarsi. Un tempo il Principe appaltava la riscossione di tasse e imposte a esattori che provvedevano a spennare la popolazione. Nella Sardegna da poco annessa, un ministro di Carlo Emanuele III di Savoia si rese talmente temuto e odiato che ancora nel secolo scorso per spaventare i bambini le mamme minacciavano: “Chiamo Bogino!”. Adesso la tassazione neppure bussa alla porta: arriva come intimazione e minaccia di
vessazioni ulteriori. Il cittadino scopre di non avere riparo tra sé e il Moloch. Cerca di arrabattarsi.
Nel Settecento, quando lo Stato moderno cominciò ad affacciarsi con la sua gabbia di doveri e di divieti, proprio per salvaguardare la dignità alla persona e la sua partecipazione a una “ecclesia” più universale delle chiese, l'una contro l'altra
armate, e mettersi al riparo dai poteri regi, più esosi di quello Imperiale, ormai al crepuscolo, cominciò a diffondersi una associazione poi discussa e sospettata: la Massoneria. Che cos'era? Che cosa volle essere? Ne sono state date decine di spiegazioni. Tra le molte, una pare più aderente alla realtà storica: inserire la persona in una catena d'unione, sia tra i soci di un gruppo territoriale, la “loggia”, sia nella galassia delle logge sparse sulla superficie del globo, da Scozia e Inghilterra alle Indie, dal Mediterraneo alla Nuova Inghilterra, quelle Colonie che nel 1776 rivendicarono l'indipendenza con un atto firmato quasi esclusivamente da massoni, a cominciare da George Washington. Ogni loggia si dette le sue regole all'interno della fratellanza universale, ma a ben vedere gli obblighi (charges) si riducono a uno solo: fare agli altri quel che vorresti fosse fatto a te. Rispetto, silenzio, benevolenza.
Nuova nelle forme, antica nei principi costitutivi, la nuova associazione rese meno
invalicabili i confini tra gli Stati, propiziò il dialogo, la tolleranza, la ri-conoscenza. Lo si vide tra Piemonte e Provenza, due versanti di un mondo che le Alpi avevano sempre unito negli scambi d'ogni genere. Ne ha scritto Yves Hivert-Messeca negli studi preparatori della poderosa opera L'Europe sous l'Acacia (ed. Dervy). Come la squadra e il compasso, l'archipendolo e il grembiule di lavoro, l'acacia, arbusto gentile, tenace e universale, è tra i simboli più eloquenti della Massoneria.
Intorno alla Massoneria, che è un Ordine iniziatico, sono fiorite e perdurano leggende nerissime, in parte spiegabili anche per la condotta dei “fratelli” (come i massoni si chiamano reciprocamente, sull'esempio degli ordini religiosi medievali, dei cristiani delle origini e dei filosofi antichi), spesso corrivi a dichiararsi padri naturali o almeno putativi di tutte le rivoluzioni, come il regime franco-napoleonico, salvo pagarne alto prezzo con persecuzioni e scomuniche. A ben vedere la Massoneria assunse i colori delle diverse età e dei distinti paesi nei quali allignò. In tal modo via via perse l'identità originaria e moltiplicò gli equivoci sul proprio conto. Tra le cause di maggior confusione vi fu la convergenza di una parte dei massoni, occasionale e strumentale, con la Carboneria, che di suo era una babele di correnti, alcune sovversive, altre cristiane e conservatrici, tutte ai margini della legge comune.
Mentre in Francia regnava Luigi Filippo d'Orléans, il “re borghese”, il Piemonte di Carlo Alberto di Savoia-Carignano (1831-1849) avviò graduali riforme, coronate con lo Statuto che nel marzo 1848 proclamò l'uguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi e frenò la rivoluzione repubblicana, esplosa un mese in Francia e poi repressa da Napoleone III.
La Massoneria liguro-subalpina risorgente da quegli anni ebbe tre anime: una monarchica; una repubblicana e quella di Garibaldi, che prese per insegna “Italia e Vittorio Emanuele”, fece da trait-d'union fra le altre due e avviò la massoneria italiana a impegnarsi sui problemi della società, sul modello del Grande Oriente di Francia e della Gran Loggia di Francia. Ruolo eminente in tale processo ebbero piemontesi di caratura internazionale, quali Carlo Michele Buscalioni, ex allievo del seminario di Mondovì, Felice Govean, nativo di Racconigi, Costantino Nigra, Bartolomeo Casalis e, sul versante ligure, la “Trionfo Ligure” di Genova (direttamente all'obbedienza del GOF) e la loggia di San Remo, animata da GioBatta Calvino, nonno di Italo, l'autore di Il Barone rampante, fiaba massonica inneggiante alla libertà della vita secondo natura, come ha documentato Luca Fucini. La centralità
della Francia per i “fratelli d'Italia” si manifestò nell'adozione del rito francese da parte del nascente Grande oriente italiano, poi “d'Italia”, perché risultava generalmente noto e praticato, più del Rito scozzese antico e accettato che aveva una delle sue “capitali” a Parigi, ove il 16 marzo 1805 fu costituito il Supremo Consiglio “per l'Italia”. Dopo la proclamazione dell'unità nazionale e l'annessione di Roma (1861-1870) la Massoneria italiana accettò la monarchia (lo fecero antichi mazziniani e garibaldini: Adriano Lemmi, Federico Campanella, Aurelio Saffi... sino a Giosue Carducci, Ernesto Nathan, sindaco di Roma, il pastore protestante Saverio Fera, fondatore della Gran Loggia d'Italia) proprio quando la massoneria francese si schierò invece per la repubblica. L'opzione istituzionale fu come il pendolo: quando la Francia andava una direzione, l'Italia oscillava dall'altra; e viceversa.
Le tensioni tra i due Stati, sempre più acute sia nella politica estera e coloniale, sia
nelle prospettive della stabilità europea, si ripercossero sulle rispettive organizzazioni massoniche. Le logge non si occupavano esplicitamente di questioni politiche e religiose, men che meno delle beghe doganali che intralciavano i commerci e ritardavano la realizzazione delle opere pubbliche necessarie ad avvicinare i popoli, a superare antiche e nuove barriere. Però non fermarono la marea montante del nazionalismo che serpeggiava nei quotidiani, nelle riviste, nelle caserme e soprattutto dilagò nelle aule, ove gli scolari furono indottrinati e incitati a considerare nemico qualunque straniero, come nei secoli avevano fatto i chierici che marchiavano i non osservanti come eretici, dannati sin da vivi alle pene dell'inferno.
Le logge liguro-piemontesi svolsero un ruolo decisivo per attutire le ripercussioni
sulla popolazione dei conflitti tra i governi di Roma e di Parigi. Fu soprattutto il caso del Ponente Ligure e del Nizzardo, le cui Officine ebbero relazioni dirette, non sempre gradite a Roma, sia nel primo Novecento, sia nei mesi difficili della neutralità, nel 1914-15. L'intervento dell'Italia nella Grande Guerra a fianco della “sorella latina” e della Gran Bretagna risolse tanta parte del contenzioso, ma nel dopoguerra le nubi tornarono ad addensarsi, con conseguenze di lungo periodo. La svolta venne solo durante la lotta di liberazione. Nel 1945-48 la Francia tornò a essere presa a modello, ma in una visione ormai europea, anzi euro-mediterranea: un processo lungo, tuttora incompiuto, perché il nazionalismo (caricatura deformante della Nazione) sopravvive allo svuotamento di poteri degli Stati nazionali. È anch'esso un virus mutante, difficile da isolare e, ancor più, da debellare.
di Aldo Mola