Aspromonte, Calabria.
Secondo la tradizione il romanzo cavalleresco - la cosiddetta Chanson de Geste - nasce in Francia e vi si sviluppa fra il XII e XIII secolo, a seguito della scrittura della Chanson de Roland, risalente alla seconda metà del XI sec. Nella Chanson de Roland si racconta la morte di Orlando che, alla Battaglia di Roncisvalle, del 778, sacrifica la propria vita per fermare l'ingresso dei Saraceni in Europa. Alla prima metà del XI sec., però, risale la canzone che narra di come Orlando divenne cavaliere e di come ricevette spada, corno e cavallo. Si tratta della Chanson d'Aspremont, o Canzone d'Aspromonte, un'opera che ebbe un successo enorme nel medioevo e che servì da spunto per i poemi dell'Ariosto e del Tasso, Orlando Furioso, Orlando Innamorato e Gerusalemme Liberata.
Quest'opera narra le vicende della liberazione delle terre calabre dai saraceni ad opera di Carlo Magno.
La storia delle invasioni Saracene in Calabria è, nella realtà, risalente e confusa, fra date, nomi e leggende che ne creano miti e ne nascondono fatti. Per comprendere la difficoltà delle fonti facciamo l'esempio della cattura degli Agareni come raccontata nella biografia di San Fantino il Vecchio. San Fantino il Vecchio, detto anche Taumaturgo o Cavallaro, nacque a Taureana, frazione di Palmi (RC), nel 293, anno di nascita della prima Tetrarchia, con la nomina, da parte di Diocleziano di Galerio a suo Princeps, mentre in Occidente governava Massimiano con Princeps Costanzo Cloro. San Fantino era un guardiano di cavalli al servizio del patrizio romano Balsamio, che si convertì al cristianesimo dopo aver visto Fantino fermare, con un frustino, le acque del fiume Metauro.
Il più celebre prodigio di San Fantino avvenne, però, dopo la sua morte. Il 24 luglio 650 si avvicinarono alla costa di Tauriana alcune navi Agarene. Agareni era il nome che san Girolamo aveva dato ai Saraceni e che, in epoca arcaica, veniva usato per identificare i popoli provenienti dai paesi arabi. Secondo San Girolamo non sarebbe stato corretto dare ai Saraceni questo nome, in quanto essi non discendevano da Sara, moglie di Abramo, ma da Agar, sua concubina. Ma torniamo al 650: una nave agarena, avvicinatasi troppo alla costa, venne catturata da una tempesta improvvisa e gettata sugli scogli sotto il tempio dedicato a San Fantino. Uno dei sopravvissuti al naufragio raccontò di aver visto, sopra lo scoglio, una donna vestita di porpora e un giovane con un tizzone fumante in mano. Ad un gesto della donna il giovane aveva gettato il tizzone fumante in mare, provocando la tempesta. Gli agareni superstiti si convertirono al cristianesimo e a Tauriana nacque il culto di Maria Santissima dell'Alto Mare. Ovviamente non esistono prove storiche di questi avvenimenti e, nella realtà, il primo documento storico che faccia riferimento ad un attacco saraceno in Calabria è una lettera inviata, nell'813, da San Leone a Carlo Magno, ove si parla di un attacco saraceno a Columna Reggina, l'attuale Villa San Giovanni.
Bisogna arrivare all'846 per trovare una conquista saracena in Calabria: in quell'anno i saraceni conquistarono la città di Nepetia, ribattezzandola al-Mantya (la Rocca) da cui l'odierno Amantea. Come vediamo questo periodo è successivo alla battaglia di Roncisvalle e, quindi, ci troviamo di fronte ad una discrepanza storica non da poco. Si è cercato di far rientrare i fatti della Chanson d'Aspremont fra gli avvenimenti seguenti alla discesa di Carlo Magno in Italia in aiuto di Papa Adriano I contro i Longobardi di Desiderio I, avvenuta nel 773. Ma comunque si è di fronte ad una fortissima discrepanza cronologica: solo 5 anni sarebbero passati dall'investitura di Orlando a Cavaliere alla sua morte, e i conti non tornano.
Il reale fatto storico alla base della Chanson potrebbe essere la Battaglia di Garigliano nel 915. Questa battaglia venne combattuta nei pressi della località Giunture, una frazione di Sant'Apollinare in provincia di Frosinone, tra le forze della Lega Cristiana, composta da bizantini, salernitani, pugliesi e calabresi, sotto il comando diretto di Papa Giovanni X, e i Saraceni. La sconfitta dei Saraceni segnò la fine della loro espansione in Italia. Nessuna corrispondenza territoriale, quindi. Ma questo perde importanza se si considerano le storie come leggende. Come visto Romani, Bizantini, e Imperatori successivi, si scontrarono ripetutamente contro i saraceni nei territori calabri, per tutto il periodo fra il 700 e il 1000. il 13 luglio 982, addirittura, l'imperatore Ottone II di Sassonia, che guidava personalmente il proprio esercito, venne ucciso dagli arabi nella disfatta di Columna Reggina.
Le cose cambiarono solo nel 1038 quando lo strategos Giorgio Maniace reclutò i mercenari Normanni guidati da Guglielmo e Drogone d'Altavilla per combattere contro i Saraceni. I Normanni, dopo aver sconfitto i Saraceni, fecero lo stesso con i Bizantini e i Longobardi, impadronendosi di Calabria e Sicilia. È in questo periodo che forse, come ringraziamento a quei signori che li avevano finalmente liberati, più che dagli “infedeli”, da una continua incertezza, nasce la Chanson D'Aspremont, come esaltazione del valore bellico normanno. La Chanson venne scritta da un certo Verdizzotto nella prima metà del 1100 e parte dalla caduta di Risa. Narra la storia dell'amore fra Ruggieri di Risa (Reggio Calabria) e Gallicella, la figlia di Agolante, re dei Saraceni e fanciulla guerriera. Gallicella, dopo varie vicissitudini, si converte al Cristianesimo sposando Ruggieri. Ma Beltrame, fratello di Ruggieri, uccide padre e fratello per fare propria Gallicella. Questa fugge e partorisce i figli di Ruggieri: Marfisa e Ruggero, che saranno personaggi nelle successive opere del Boiardo, del Tasso e dell'Ariosto. Nel contesto dell'opera troviamo Carlo Magno, che sceso in Calabria con i suoi Paladini, scende in campo per la difesa di Risa e si scontra con Almonte, figlio di Agolante.
Sta per soccombere quando Orlando, ancora ragazzino, e quindi privo di armi, fuggito dal castello di Risa per partecipare alla battaglia, disarma Almonte colpendolo col proprio bastone e, dopo avere raccolta la spada di questi, lo trafigge. Per premiarlo di avergli salvata la vita, Carlo Magno lo nomina cavaliere e gli dona la spada Durendal (Durlindana), il corno Olifante, e il cavallo Vallantif (Brigliasciolta) appartenuti ad Almonte.
In Calabria, quindi, nasce il mito di Orlando. E in quel territorio è ancora presente.
Ricordo quando, da piccolo, i miei nonni mi facevano vedere una rocca, dalla parte opposta della valle, dicendomi che, in mezzo alla boscaglia, si trovava una roccia da cui scaturiva l'acqua. L'uscita dell'acqua aveva la forma di uno zoccolo perché il Paladino Orlando si trovava a passare di là col proprio cavallo che, assetato, assestò un gran calcio alla roccia, da cui zampillò l'acqua. L'avventura di Orlando finirà a Roncisvalle, dove Carlo Magno non arriverà in tempo per salvarlo. Il mito, però, oltre a confondersi con la realtà, ci regala un capolavoro letterario che trova un grande richiamo nel medioevo, ma che perde il suo impatto mediatico nell'età moderna. Un motivo, forse forzato, ma da approfondire, lo vedremo oltre. Iniziamo con l'esaminare la storia e l'impatto dell'opera.
Come abbiamo visto l'opera nasce in un periodo imprecisato della prima metà del XI secolo, qualche decennio prima della Chanson de Roland. Può, quindi, a buon titolo, essere definita lei la capostipite delle Chanson de Geste. E lo può fare per il ruolo che ha rivestito nella cultura letteraria dei secoli successivi. L'opera, composta da 28 canti, venne tradotta in numerose lingue, ed ebbe enorme diffusione in tutta Europa, tanto che oggi ne sopravvivono ben ventiquattro manoscritti miniati. Venne inserita nella Karlamagnus Saga norvegese. Se ne trovano tracce in Svezia e Danimarca. In Italia venne redatta in ottave e se ne conserva un manoscritto presso la biblioteca Nazionale di Firenze. A cavallo del 1400 il celebre Andrea Mengabotti, conosciuto come Andrea da Barberino, ne creò un romanzo in prosa, con l'aggiunta di numerosi personaggi e nuove avventure. La sua diffusione italiana ci aiuta a ricostruirne la nascita. Circolò nelle corti Normanne – Firenze, Mantova, Milano, Ferrara – e sul retro della versione Ferrarese dell'opera si trova l'annotazione con il nome dei due pretesi autori: Bivonio e Verdizzotto. Ovviamente non esiste alcuna certezza sulle loro identità ma, dalle ricerche svolte, Bivonio pare più un’indicazione geografica. Bivona era il nome di Vibo e Bivonio è, sicuramente, colui che proviene da Bivona. Verdizzotto appare, invece, fra i fondatori dell'accademia di Siena. Si tratta, presumibilmente, di Giovanni Maria Verdizzotti, letterato e pittore Veneziano, nato a Mantova, cresciuto alla bottega di Tiziano e amico del Cattaneo e dell'Ariosto, noto come illustratore di storie. Potrebbe, quest'opera, essere attribuibile ad un tal Bivonio, cantastorie vibonese, copiata e illustrata da Giovanni Maria Verdizzotti nel 1500, cosa che lo stesso Verdizzotti fece con la Gerusalemme Liberata del Tasso, ove viene ripresa la storia dell'amore fra Ruggieri e Gallicella, che poi finì all'Ariosto. Da cui si comprenderebbe anche la conoscenza della Chanson d'Aspremont che permise all’Ariosto di usarla come spunto per le sue opere orlandine.
Che questo corrisponda a realtà, oltre che dal fatto che copia della Chanson si trovava nella biblioteca dell'Ariosto, si evince anche dal fatto che lo stesso viene citato ne l’Orlando Furioso:
— Dunque (rispose sorridente il conte)
Ti pensi a capo nudo esser bastante
Far ad Orlando quel che in Aspramonte
Egli già fece al figlio d’Agolante?
Anzi credo io, se tel vedessi a fronte,
Ne tremeresti dal capo alle piante;
Non che volessi l’elmo, ma daresti
L’altre arme a lui di patto, che tu vesti. —
(L. Ariosto, L'Orlando Furioso, canto XII, ottava 43)
La Canzone d'Aspromonte narra la storia di Risa, ove Annibale aveva fatto seppellire il tesoro raccolto durante le sue scorrerie italiane, che è un'importante città cristiana. Suo eroe è Ruggieri, figlio di Rampaldo, invincibile e santo, il cui corpo rimane "intatto" anche dopo la morte. Ruggieri parte per portare la notizia del perdono del cognato Carlo Magno al suo amico Milone ospite in Africa del re Agolante. Dopo essere sbarcato in Africa, però, si perde e giunge presso la corte del Re Guarnieri, ove rimane folgorato dalla bellezza della di lui figlia, Claudiana. Ovviamentge lei ricambia e si susseguono molti appuntamenti clandestini che si concludono con una fuga. La nave che li trasporta viene, però, attaccata dai pirati, che Ruggieri sconfigge. Claudiana, nel frattempo, cade in acqua e Ruggiero, dopo instancabili ricerche, deve arrendersi e la considera morta. Colto dallo sconforto si lascia, quindi, andare alla deriva, sbarcando sulle coste sicule e, da lì, raggiungendo Risa. Claudiana, invece, sopravvive e viene salvata da una nave che la sbarca in Armenia, dove nasce Cladinoro, figlio di Ruggieri. Carlo Magno, nel frattempo, deve prendere atto del fallimento delle trattative di pace coi Saraceni e si prepara per lo scontro decisivo, che si svolgerà in Aspromonte. Rolandino (ovvero Orlando) vorrebbe unirsi ai paladini, ma è ancora troppo giovane e viene lasciato al castello di Risa, da cui riesce a fuggire e a recarsi sul campo di battaglia. Dall'Africa il Re Saraceno Agolante, insieme ai suoi figli guerrieri Almonte, Trojano e Gallicella, parte in direzione di Risa assediandola. Volendo evitare, però, ulteriori spargimenti di sangue invita uno dei suoi figli a sfidare Ruggieri per il possesso della città. Prima del duello a Ruggieri viene chiesto se sia disposto ad abbandonare la religione cristiana ed il suo regno, ottenendo in cambio un regno in Africa; ma Ruggieri, alzando la visiera, rifiuta. Gallicella, presente al colloquio, vede Ruggieri e se ne innamora, gli si dichiara e, ricambiata, lo segue a Risa come sua sposa. Beltramo, fratello di Ruggiero si innamora a sua volta di Gallicella, uccide suo padre e suo fratello e cerca di far propria Gallicella. Gallicella, a quel punto, fugge in un bosco, ove muore dopo aver dato alla luce i due gemelli Ruggiero e Marfisia. Nel frattempo compare un nuovo eroe cristiano, Namo che giugne in Aspromonte a cavallo di un Grifone alato, immagine ripresa dall'Ariosto nel suo Orlando Innamorato. Nel corso della battaglia contro i Saraceni Rolandino, come già visto in precedenza, uccide Almonte salvando Carlo Magno, che lo nomina cavaliere. A Reggio la canzone si ammanta ancor più di leggenda nel 1189. Si narra che in quell'anno, Tancredi regnante in Sicilia, giunsero nello stretto le navi della III crociata guidata del Re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone e dal re di Francia Filippo II. A quel tempo il passaggio di una crociata era considerato una vera e propria disgrazia dalle popolazioni coinvolte: violenze e brutalità da parte dei “crociati”, in cronica carenza di fondi, erano la norma. Anche questa volta fu lo stesso: Riccardo occupò il porto di Bagnara e, giunto a Messina, i suoi uomini furono autori di stragi e violenze. Tancredi si apprestò, quindi, ad intervenire, allorché Re Filippo costrinse i due contendenti a riappacificarsi. Secondo le cronache del tempo il Re degli Inglesi, in segno di scuse, regalò a quello normanno la celebre spada Excalibur.
A rendere ancor più succosa la storia, qualche secolo dopo un re di Aragona chiese al proprio figlio di trovare la “spada di Costantino” nel tesoro di Sicilia, custodito a Palermo, di e di mandarla in Spagna. La Spada di Costantino è la spada di Artù, cui finì in eredità dopo la sua morte, insieme al Regno. Artù e Ginevra, infatti, non avevano avuto figli e, alla morte di Artù, fu un suo parente, Costantino, ad ereditare il regno e la spada.
Ecco la fusione fra le leggende Arturiane e quella Orlandine. Nella realtà la Chanson d'Aspremont ha, probabilmente, almeno uno, se non più, precedenti in storie che decantavano la grandezza dei signori bizantini nella loro lotta contro i saraceni. La rielaborazione di una di queste per mano di monaci benedettini, allo scopo di dare un'origine mitologica alla storia calabrese e normanna, fondendole in omaggio ai nuovi principi e dando loro una dignità pari ai loro equivalenti in terra franca o germanica, fu alla base della Chanson d'Aspremont. Concludiamo, adesso, con una spiegazione sulla scarsa fortuna avuta da questa opera in epoca più moderna.
Il Ciclo Orlandino si contrappone al Ciclo Arturiano.
Il primo nasce in Lingua d'Hoc ed è una produzione tipicamente delle zone di Provenza, Linguadoca e Catalogna. Il secondo è prevalentemente in Lingua d'Oil e di origine Bretone. Sullo scontro delle due culture in epoca medievale si sono già espressi in molti, fra gli altri la studiosa Maria Soresina, che rivede l'intera storia medievale sulla scorta dello scontro religioso fra la Chiesa Cattolica e i movimenti eretici gnostici. Secondo anche la ricostruzione che Dante Gabriel Rossetti fece della poesia trobadorica e delle conseguenti opere cortesi dei vari Cavalcanti, Alighieri e via dicendo, tali opere non erano altro che scambi di idee camuffati da opere amorose. L'amore è la Sophia greca e le tante donne suo oggetto sono la conoscenza. Maria Soresina rilegge in chiave Catara e gnostica l'intera commedia. Ci troveremmo, quindi, nel mezzo dello scontro fra la Chiesa Cattolica e l'eresia gnostica. E lo scontro, in ambito letterario, si svolge fra la cultura in Lingua d'Hoc e quella in Lingua d'Oil. Il punto di scissione ultimo, da cui lo gnosticismo finisce nel campo della clandestinità, è la crociata contro gli Albigesi. Nei secoli successivi gli scontri saranno altri, ma si svolgeranno sempre in maniera occulta e il colpo di grazia verrà dato dalla soppressione dell'Ordine Templare. Solo rielaborazioni che celino il reale messaggio sopravvivono al Rinascimento, da cui le rielaborazioni dell'Ariosto, del Boiardo e del Tasso.
Oggi la cultura gnostica, soprattutto in Italia, è misconosciuta e deve essere interamente riscoperta. Ma una volta il territorio italiano era, come il resto d'Europa, terreno di scontro fra le due filosofie principali dell'Occidente del mondo. Scontro che non si è mai concluso, ma solo celato sotto mentite spoglie. Basti pensare all'evoluzione che ha avuto la religione Islamica, che per molti è solo un Cristianesimo gnostico, e lo scontro di culture che ne è derivato nel tempo. Questo conflitto ha relegato un'opera scomoda per la Chiesa Cattolica in un limbo, rendendola meno famosa di altre opere proprio nella sua terra di origine, a dimostrazione che spesso il fuoco cova sotto le ceneri e che occorre scavare per riaccenderlo.
A.R.