Il giudizio

Il giudizio

Il meccanismo oscuro, indifferente ad angosce e sentimenti, che non ha pietà perché non umano, ma automatico e rigido, secondo schemi prefissati e regolamentati, cavillosamente puntigliosi in sfumature sottili e pericolose: il processo inquisitorio fu costruito su misura per una realtà distorta e incontrollata, un fenomeno patologico del diritto, scritto e non; aberrante dalla religione cattolica, fuorviante dalla legge, si era prestato a una oscura trama di potere, ordita da monarchia contro nobiltà, da papato contro monarchia, da gerarchie ecclesiastiche contro il papato. Servì ai falsi contro i nemici, agli spagnoli contro gli ebrei, contro i mori, contro altri spagnoli.

 

 

Il nostro schema logico deduttivo, occidentale e cartesiano, ci insegna a trarre conseguenze dalla osservazione dei fenomeni: poniamoci quindi nell’ottica di essere chiamati a giudicare e, se pur non è nostro diritto giudicare il comportamento dei nostri simili, concediamoci questa libertà, nello spirito di apprendere dalle altrui vicissitudini, insegnamento utile alla costruzione del Tempio. Sono passati quasi tre secoli, ma le tracce dei dolori atroci sopportati da innocenti affiorano vive e ancora sanguinanti dai freddi verbali dei processi dell’Inquisizione spagnola, come fosse ieri. Il cancelliere, gelido testimone, inumanamente trascrive senza emozione anche i gemiti dei torturati. L’uomo, sottoposto alla sofferenza morale e al dolore fisico, mette a nudo la sua natura originale, il carattere, la sua filosofia, mostra i lati migliori e quelli peggiori del proprio spirito.

La prima inquisizione nasce durante il XIII secolo, con Innocenzo III. Miete le sue prime vittime nella Gallia Narbonnese, poi si diffonde in Italia, in Spagna e nelle colonie. La Grande Inquisizione nasce con il Torquemada nell’ultimo quarto del XV secolo. In 18 anni di Ministero, il Grande Inquisitore trasforma il vecchio tribunale del Sant’Uffizio nella Santa Inquisizione, organo politico religioso, autoregolamentato, non soggetto ad altre autorità che un monarca avido e compiacente e un papa lontano e titubante.

La Massoneria viene colpita dalla scomunica solo nel 1783 dall’enciclica “In eminenti” di Clemente XII, con l’accusa di indifferentismo, superstizione, naturalismo ed eresia grave e viene prevista la pena di morte.

Madrid, 1757

Il signor Pierre Tournon, francese stabilitosi in Spagna per dirigere una fabbrica di manufatti di rame, viene denunciato al Tribunale dell’Inquisizione il 30 aprile, per aver istigato alcuni suoi operai a entrare in Massoneria, dichiarandosi Libero Muratore legato al Grande Oriente di Parigi.

A seguito del primo interrogatorio nella prima udienza di ammonizione, l’inquisitore riassume: “Si fa osservare a Monsieur Tournon che tutte le spiegazioni che ci ha dato dei fatti o delle cerimonie che si succedono nelle Logge sono false e differenti da quelle che si sono apprese da Lui stesso attraverso dichiarazioni rese spontaneamente di fronte a gente degna di fede. Lo si invita dunque nuovamente, per il rispetto che deve a Dio e alla Santa Vergine, a dire la verità e a confessare le eresie di indifferentismo, gli errori di superstizione che gli hanno fatto mescolare le cose sacre a quelle profane, nonché gli errori di idolatria che l’hanno condotto ad adorare gli astri”.

L’inquisitore preme su Tournon per ottenere una confessione che confermi le accuse delatorie; soltanto così potrà “consentire al Santo Tribunale di usare al suo riguardo la comprensione e la misericordia che è solito usare in favore dei colpevoli pentiti che ammettono le loro colpe”.

Tournon rispose: “Ho detto la verità in tutte le mie risposte, e se c’è qualche testimone che abbia deposto delle cose contrarie, si sbaglia nell’interpretazione data alle mie parole!”

Di nuovo l’inquisitore: “Non contento d’essere stato Frammassone, Voi avete persuaso altri a farsi ricevere nell’Ordine e ad abbracciare gli errori eretici, superstiziosi e pagani nei quali siete caduto!”

Tournon: “Sì, è vero, ho spinto quelle persone a divenire Massoni, perché pensavo che potesse essere loro utilissimo, se avessero dovuto viaggiare, per esempio, incontrare fratelli pronti a venire loro in soccorso negli imprevisti e nelle difficoltà, ma è falso che io abbia tentato di spingerli in errori contrari alla fede cattolica, dato che non ve n’è alcuno in Massoneria, in cui non ci occupa mai di questioni dogmatiche”.

Inquisitore: “È già provato che l’esistenza di questi errori non è affatto chimerica. Monsieur Tournon consideri di essere stato eretico dogmatizzante, sarà meglio che lo riconosca, ne faccia ammenda con umiltà e domandi il perdono e l’assoluzione; atteso che se persevera nella sua ostinazione sarà causa della sua sfortuna per il corpo e per l’anima. Lo si consiglia pertanto di riflettere con più senno sul suo stato per prepararsi alle altre udienze che gli saranno accordate per effetto della compassione e della misericordia di questo Santo Tribunale”.

Il povero Tournon fu riportato in prigione. Persistette nella tesi di innocenza per l’accusa di idolatria, riferite all’uso simbolico di figure astrali, di indifferentismo per la genericità dell’indicazione dell’Ente Supremo, di superstizione per la confusione tra cose sacre e profane durante gli empi riti di Loggia. Egli protestava di non trovare nulla in contrario alla fede cattolica nelle tesi e nelle opere massoniche e quindi, qualora si fosse trovato in eresia, sarebbe stato senza colpa.

Si arrivò presto alla presentazione dell’atto di accusa. Si propose all’accusato la scelta di un avvocato, ma Tournon rispose che la sua disgrazia non aveva per causa la sbagliata interpretazione di quanto accaduto, che gli avvocati spagnoli non conoscevano le Logge massoniche e avevano dei pregiudizi che gli avrebbero impedito di difenderlo adeguatamente durante il giudizio.

Affermò inoltre che queste considerazioni lo costringevano a un ripensamento su se stesso e sulle conseguenze che il suo presente stato avrebbe potuto comportare. Si convinse a considerare l’ipotesi di ammettere il torto, invocando la propria ignoranza circa lo spirito pericoloso degli statuti e usi della Massoneria. Si dichiarava pertanto pronto a condannare tutte le eresie nelle quali era potuto inopinatamente incorrere e chiese una pena moderata in virtù della buona fede dimostrata.

Il giudizio fu “sospetto di eresia lieve” e la pena, seppur complessa, lunghissima e aberrante, gli permise un anno dopo la sentenza di essere esiliato. Segnato per sempre, ma vivo.

Madrid, 1768

Michel Maffre des Rieux, marsigliese, fu arrestato a causa del suo spirito franco e sincero, ma ingenuo e irresponsabile. Cattolico convinto, dopo la lettura di Rousseau e Voltaire, si era costruito una sua propria convinzione circa la falsità di tutte le religioni, riconoscendo come unica vera religione esclusivamente quella naturale. Ai suoi inquisitori rispondeva candidamente di essersi posto come scopo della propria esistenza la ricerca della verità: si disponeva dunque sinceramente a rivedere le sue idee a risottomettersi alla religione cattolica, se qualcuno fosse riuscito a dimostrargliene la superiorità.

Riuscì in questo intento un ecclesiastico, attraverso lunghe e amorevoli sedute. L’uomo, che divenne in seguito vescovo di Almeria, lo portò a riconoscersi vinto e convinto “vuoi perché abbiate ragione – affermò Maffre – vuoi perché il vostro sapere superi il mio”.

Maffre dunque si dispose durante il processo a riconciliarsi con la Chiesa Cattolica, a condizione che gli si restituisse la libertà, dato che non rilevava nulla di colpevole nell’aver abbracciato la religione naturale, per di più ritenendo meritorio agli occhi del Creatore l’esser riuscito, seguendo la strada della ragione, a ritornare alla vera fede.

Era abitudine del Tribunale promettere indulgenza e compassione a coloro che si fossero sottomessi con una confessione piena e sincera. Maffre, da uomo ingenuo e schietto, ammise pienamente gli errori in cui era sinceramente convinto di essere caduto, dichiarando che nel suo sistema le menzogne continuavano a essere il più grande peccato contro la religione, sia cattolica che naturale. Egli attendeva quindi molto fiducioso un perdono, o almeno una pena molto leggera al punto di affermare, durante il processo, di sentire particolare soddisfazione a immaginare di raccontare il suo percorso di fede, una volta uscito di prigione, ai suoi amici e che nulla gli avrebbe impedito di arruolarsi nella Compagnia Fiamminga delle guardie del corpo del Re, presso cui aveva già presentato domanda.

Una mattina, invece, lo prelevarono dalla cella dieci famigli (membri della guardia armata a disposizione dell’inquisitore) che gli ordinarono di togliersi i vestiti e indossare il San Benito.

Il San Benito è uno scapolare di stoffa grigia, con grandi croci gialle o rosse su spalle e petto, che si indossava a piedi scalzi, con una corda legata intorno al collo. Nel caso dei condannati al rogo, era decorato con lingue di stoffa rosse che avevano le punte rivolte verso l’alto qualora il condannato non fosse reo confesso, con le punte curvate verso il basso in caso contrario, a indicare che, con atto di pietà, il condannato sarebbe stato strangolato un attimo prima di appiccare il fuoco alla pira. Completava questa macabra divisa un cappello alto, a forma di cono, che impediva la vista.

Il capo dei famigli spiegò a Maffre che avrebbe dovuto recarsi nella sala delle udienze, con il San Benito e un cero verde in mano, per accogliere la sentenza. Il povero sventurato si ribellò e fu costretto quindi con la forza comporsi con il degradante aspetto di un penitente; restava tuttavia convinto di recarsi al cospetto dei soli inquisitori e dei cancellieri, ma quando venne fatto entrare nella sala, si accorse di essere al cospetto di una numerosa assemblea di dame e cavalieri, espressamente riunita per assistere allo spettacolo.

Ecco che l’intimo travaglio intellettuale di un uomo sincero che rischia la fine più orrenda a causa di una sottile sensibilità diviene un’occasione mondana in cui Chiesa e Monarchia, sprezzanti, impongono e ostentano il proprio potere.

A quel punto Maffre perse il controllo di sé, e si decise a lanciare insulti contro la barbarie e l’inciviltà subite: “Se è vero che la religione cattolica comanda di fare quello che fate, io la rifiuto ancora una volta, perché è impossibile che una religione che disonora gli uomini sinceri sia vera”.

A causa dello scompiglio, dell’inaspettata lotta di autodeterminazione del reo avvilito, dell’uomo umiliato, Maffre fu riportato in cella con la forza. Abbandonato a se stesso, digiunò per trenta ore invocando il proprio diritto alla libertà di pensiero e alla dignità. Il quinto giorno di prigionia si impiccò, lasciando una preghiera scritta in francese.

O Dio! Autore della natura dell’uomo, essere essenzialmente puro, che amate la sincerità nelle anime, ricevete la mia che sta per unirsi alla Vostra Divinità, da cui ella è stata emanata; io Ve la invio, Signore, prima del tempo, al fine di lasciare il soggiorno di bestie feroci che hanno usurpato il nome di uomini: ricevetela con favore, giacché vedete la purezza dei sentimenti che mi hanno sempre animato. Liberate la terra dall’orribile mostro, il tribunale che disonora l’umanità e Voi stesso, fino a che voi lo permetterete.

Firmato: l’uomo della Natura.

Come giudicare, oggi, questi due episodi? Tournon massone che si adatta alla realtà, fa salva la vita grazie a una abiura che non gli costa molto, salvo un piccolo grande compromesso con la propria coscienza. E poi Maffre, illuminista fragile e ingenuo, che per non sopportare qualche ora di umiliazione per la sua natura di uomo, preferisce restituire l’anima a dio.

Chi siamo noi, oggi?  Dei Tournon o dei Maffre?

Liberamente tratto dall’archivio di Delta (G.F. )

Delta on-line

Delta on-line, erede della storica pubblicazione, ha lo scopo di comunicare più agevolmente e ad un maggior numero di lettori articoli di cultura massonica.

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