"un'opera d'arte è in grado di smuovere i sentimenti dell'osservatore solo se i personaggi in essa raffigurati mostrano i propri moti dell'animo e se questi ultimi sono riconoscibili dal movimento dei corpi"
Leon Battista Alberti
Gli studi sulla percezione visiva hanno permesso di comprendere come gli artisti catturino l’attenzione dell’osservatore, non solo sollecitando la risposta emozionale inconscia al soggetto ritratto, ma rendendolo anche consapevole dei loro metodi artistici per farlo: attraverso l’uso del colore e di simboli.
Ma in che modo un’opera d’arte cattura l’attenzione dello spettatore? Lo psicofisico russo Yarbus prima e Nodine e Locher dopo, hanno scoperto che ci sono delle fasi nella percezione visiva e che queste sono evidenti nei movimenti di scansione oculare usati per esaminare un’opera d’arte. La prima fase, la scansione percettiva, comporta una scansione globale dell’opera. La seconda, di riflessione e immaginazione, comporta l’individuazione di persone, luoghi e oggetti sulla tela: l’osservatore afferra, capisce ed empatizza con la natura espressiva dell’opera. La terza fase, quella estetica, riflette i sentimenti dello spettatore e la profondità della sua risposta estetica all’opera.
Così come alcune regioni del cervello rispondono selettivamente ai volti, altre rispondono alle mani e ai corpi, in particolare ai corpi in movimento. La Risonanza Magnetica Funzionale ha rilevato che la risposta del cervello al corpo intero è più forte, ad esempio, della sua risposta alle mani. Questo potrebbe spiegare perché un artista come Schiele si sia servito dell’autoritratto, come di un mezzo per esplorare la tensione tra le pulsioni d’amore e di morte e il senso di sé. Raffigurando il proprio corpo per intero, spesso nudo e in atteggiamenti non di rado atrocemente contorti, questi autoritratti rappresentano un tentativo di ricreare in un’immagine il suo stato psicologico verso il proprio corpo, esasperando il proprio stato d’animo. Tali immagini, molto potenti, spiegano la ragione per cui molte persone si siano sentite disturbate dall’opera di Schiele, proprio perché la sua arte sollecita le emozioni dell’osservatore in modo tutt’altro che passivo, attraverso la percezione dello stato emotivo di un’altra persona come un qualcosa di separato dallo stato emotivo dell’osservatore, cioè con una partecipazione empatica. Il tentativo consapevole di ricercare il bello nella bruttezza della visione, rappresentando appunto la bruttezza della malattia e l’ingiustizia come tema artisticamente importante ed originale, già presente in Klimt, raggiunge il suo apice negli autoritratti di Schiele.
“Sono completamente assorbito dalle leggi dei colori. Se solo ce le avessero insegnate in gioventù…”
Van Gogh
Un ultimo contributo alla risposta emotiva all’arte, lo dà il colore: il colore è importante in un modo unico per il cervello dei primati, quasi quanto le rappresentazioni del viso e delle mani; per questo i segnali del colore vengono trattati nel cervello in modo diverso rispetto alla luce ed alle forme. I colori vengono percepiti come dotati di specifiche caratteristiche emotive, e la reazione a tali caratteristiche varia con l’umore. A differenza della lingua parlata, che spesso ha un significato emotivo indipendente dal contesto, il colore può assumere significati diversi per soggetti diversi, generando emozioni diverse dipendenti dallo spettatore e dal contesto.
Gli studi sulle basi neurali della percezione dei colori (Zeki e altri), hanno rivelato che il cervello percepisce le forme in gran parte attraverso i valori di luminanza, o luminosità: questo spiega perchè artisti come van Gogh abbiano utilizzato il colore anche per esprimere un ampio spettro di emozioni.
La comunicazione delle emozioni attraverso l’espressione del viso, dello sguardo, delle mani, del corpo e del colore, ha riproposto ai neuroscienziati il problema già di Freud e dei modernisti austriaci su quali aspetti delle emozioni siano coscienti e quali inconsci e se le emozioni consce ed inconsce siano rappresentate in modo diverso nel cervello.
Le moderne teorie neuroscientifiche hanno modificato drasticamente il modo in cui gli scienziati considerano l’emozione. Nonostante sia mediata da sistemi neurali parzialmente indipendenti da sistemi cerebrali della percezione, del pensiero e del ragionamento, vi è ora la convinzione che l’emozione sia anche una forma di elaborazione dell’informazione e quindi una forma di conoscenza. Questo comporta una visione più ampia della conoscenza, che comprende tutti gli aspetti di elaborazione cerebrale dell’informazione; quindi, non solo percezione, pensiero e ragionamento, ma anche emozione e cognizione sociale.
L’amigdala: il direttore d’orchestra delle emozioni
Le tecniche di brain imaging hanno permesso di indagare in che modo vengano coordinate le risposte emotive, su quale sia la relazione tra i sentimenti consci e inconsci, sui cambiamenti fisiologici innescati da stimoli emotivamente carichi. Gli studi della corteccia insulare anteriore o insula, situata tra i lobi parietale e temporale, area cerebrale nella quale sono rappresentati i sentimenti, cioè la consapevolezza cosciente della risposta del corpo agli stimoli emotivamente carichi, hanno messo in evidenza che questa si attiva in risposta alla valutazione consapevole degli stimoli emotivi, rappresentando quindi la consapevolezza di molte pulsioni istintuali, quali la sete, la fame, l’amore materno, lo sfioramento sensuale, l’amore romantico, l’orgasmo sessuale. L’insula non solo valuta e integra l’importanza emotiva e motivazionale di questi stimoli, ma funge anche da centro di coordinamento tra le informazioni sensoriali esterne e gli stati motivazionali interni: è la misura della piena presa di coscienza emozionale di sé, del sentire “sono io”.
Ulteriori studi di neurobiologia delle emozioni (Weiskranz; LeDoux), hanno portato alla scoperta che l’amigdala, struttura che assieme all’ippocampo si trova in profondità, all’interno del lobo temporale, orchestra le emozioni attraverso le sue connessioni con altre regioni del cervello. La connessione dell’amigdala con le aree cerebrali della visione e di altri sensi è ritenuta responsabile della notevole capacità del cervello di trasformare uno stimolo visivo biologicamente saliente in un sentimento, una risposta emotiva cosciente. Il cervello trasforma l’oggetto percepito in un’emozione sentita consciamente. L’amigdala svolge un ruolo centrale nel sistema neurale coinvolto nella percezione e nel coordinamento delle emozioni, nell’elaborazione di quattro aspetti dell’emozione:
- apprendere il significato emotivo degli stimoli attraverso l’esperienza;
- riconoscere l’importanza di questa esperienza quando si presenta;
- coordinare le risposte fisiologiche del sistema autonomo, di quello endocrino e di altri in un modo adeguato al significato emotivo dell’esperienza;
- calibrare, come già sottolineò Freud, l’influenza delle emozioni su altri aspetti della conoscenza, cioè la percezione, il pensiero e il processo decisionale.
L’amigdala, potendo comunicare, oltre che con tutte le aree sensoriali principali della corteccia, con quasi tutte le regioni del cervello che vengono reclutate dall’emozione, coordina la risposta di questi circuiti neurali agli stimoli emotivi, smistando su circuiti appropriati ciascuna emozione e silenziando quelli inappropriati, orchestrando, in sintesi, tutta l’esperienza emotiva, sia positiva che negativa.
A causa dell’interazione con i face patch della corteccia prefrontale e con numerose altre strutture cerebrali, le funzioni dell’amigdala si estendono al di là della regolazione delle emozioni e dei sentimenti personali per orchestrare la cognizione sociale. Come già aveva ipotizzato Darwin, esiste uno stretto legame biologico tra il mondo privato delle nostre emozioni e il mondo pubblico delle nostre interazioni con gli altri: l’amigdala, con la sua rete di collegamenti con altre aree del cervello, identifica i segnali sociali ambigui e conferisce loro un senso, rendendo così possibile l’interazione sociale.
Gli affascinanti risultati ottenuti dagli studi neuroscientifici mostrano che nel regno delle emozioni, come nel regno della percezione, uno stimolo può essere percepito in maniera conscia e inconscia; confermano l’importanza biologica del concetto psicoanalitico di emozione inconscia. Da qui ne discende, come già Freud aveva delineato, che gli effetti di ansia si esplicano nel cervello in maniera più drammatica quando uno stimolo è lasciato all’immaginazione rispetto a quando viene percepito coscientemente.
La risposta biologica alla bellezza nell’arte
Quando si guarda un’opera d’arte, il cervello assegna diversi livelli di significato alle varie forme, ai colori e ai movimenti. Tale assegnazione di significato, o estetica visiva, dimostra che il piacere estetico non è una sensazione elementare, come la sensazione di caldo o freddo, o di dolce o amaro, ma rappresenta una valutazione di ordine superiore delle informazioni sensoriali, elaborate attraverso percorsi cerebrali specializzati, che stimano il potenziale di ricompensa da uno stimolo ambientale: in questo caso l’opera d’arte.
Per molto tempo si è ritenuto che gli standard di bellezza maschile e femminile fossero il risultato di un’arbitraria convenzione culturale, in quanto si pensava che la bellezza fosse un giudizio personale nell’occhio-mente di chi guarda. Si è scoperto che tutte le persone, indipendentemente da età, ceto o razza, condividono un insieme di criteri inconsci di ciò che è attraente. In ogni caso, le qualità che si trovano attraenti sono indicative della fertilità, della salute e della resistenza alle malattie.
Una delle caratteristiche che rendono attraente un volto è la simmetria. Per David Perret, una buona simmetria indicherebbe quanto il genoma di una persona sia in grado di resistere alla malattia e al mantenimento di uno sviluppo normale di fronte ai fattori di stress ambientali che possono portare a modelli di crescita della faccia asimmetrici: la simmetria della faccia comunicherebbe, quindi, anche sulla salute di un potenziale compagno e sui suoi potenziali figli. Oltre alla simmetria, altre caratteristiche sono considerate universalmente attraenti in un volto femminile: sopracciglia arcuate, occhi grandi, naso piccolo, labbra carnose, viso stretto, mento piccolo. Le caratteristiche maschili che esercitano attrazione si basano su criteri diversi: si è osservato che spalle, gomiti e ginocchia fortemente squadrati sono associati sia con la mascolinità sia con l’aggressività; così come il mento sporgente, il profilo marcato della mascella, della fronte e delle guance, con l’allungamento della parte inferiore della faccia. Tali caratteristiche facciali del maschio, e l’implicito eccesso di testosterone, oltre ad un’ipersessualità, suggeriscono anche il potenziale per un comportamento asociale, aggressivo e dominante.
È stato dimostrato che anche i bambini di soli tre-sei mesi condividono questi valori (Judith Langlois); inoltre, gli psicologi evoluzionisti hanno notato che le caratteristiche di un volto universalmente preferite emergono nei ragazzi e nelle ragazze durante la pubertà, quando aumenta la concentrazione degli ormoni sessuali.
Egon Schiele aveva perfettamente compreso il significato latente della distorsione dei lineamenti del viso e del corpo: gli atteggiamenti in cui dipinse il proprio corpo mostrano distorsioni anatomiche estreme, che indicano aggressività. Tuttavia, poiché le caratteristiche maschili e femminili non si escludono necessariamente a vicenda, Schiele spesso sottolineava anche i tratti femminili del viso, quali le sopracciglia arcuate, gli occhi grandi, il naso piccolo, le labbra carnose, comunicando un’intima sensualità, ma anche una ferina aggressività, unificando in una sintesi sottile e assai efficace, le due pulsioni istintive freudiane Eros e Thanatos.
Ciò che è sorprendente, nella biologia della bellezza, è che l’ideale di bellezza è variato assai poco da un millennio all’altro e da una cultura all’altra, facendo ipotizzare che diversi aspetti di ciò che implicitamente viene giudicato attraente si sia conservato nel corso dell’evoluzione, evidenziando quindi che i pregiudizi nel valutare la bellezza siano sopravvissuti ad anni di pressione selettiva. Fondamentale contributo alla valutazione della bellezza di un volto viene anche dall’espressione facciale: la direzione dello sguardo, ad esempio, è molto importante nell’elaborazione delle emozioni, perché il cervello combina l’informazione ottenuta dallo sguardo con quella ottenuta dalle espressioni facciali, stimolando le risposte emotive primitive di approccio ed evitamento e svolgendo una cruciale funzione di adattamento nell’evoluzione umana.
In conclusione: perché la risposta all’arte è così diversa?
La risposta all’arte nasce da un’irrefrenabile urgenza di ricreare nel proprio cervello il processo creativo, cognitivo, emotivo ed empatico, attraverso il quale l’artista ha realizzato l’opera. Questo impulso creativo dell’artista e dello spettatore spiega probabilmente perché quasi tutti gli esseri umani, in epoche e luoghi diversi, hanno creato immagini, nonostante l’arte non sia una necessità fisica per la sopravvivenza.
L’arte è un tentativo dell’artista e dello spettatore, per quanto ne decifra, di comunicare e condividere il processo creativo che caratterizza ogni cervello umano, un processo che porta all’improvviso riconoscimento visto nella mente di un’altra persona, e che permette di vedere la verità che sottostà sia alla bellezza sia alla bruttezza raffigurate dall’artista.
M. A.