Quello che viene comunemente chiamato con il suo incipit, Fratelli d'Italia, ha come titolo originale Il Canto degli Italiani. Un'esegesi non superficiale del testo rivela chiaramente la sua natura massonica e repubblicana. Nell’inno prima di tutto e sopra tutto è auspicata l’unità d’Italia, puntigliosamente illustrata rievocando significativi momenti storici delle sue diverse aree, “dall’Alpi a Sicilia”. L’orizzonte nel quale si sviluppa il testo suggerisce che il “fondersi insieme” non deve tradursi in un appiattimento che dimentichi o sopprima il grande patrimonio delle diverse realtà locali. Tutt’altro. Si tratta di un’unione armonica di storie, collegate da un denominatore comune, che vanno ricordate e tramandate.
Diceva Mazzini: “l’istituzione repubblicana è la sola che assicuri questo avvenire” (La Giovine Italia, 1831). Goffredo Mameli, con il suo inno schiettamente repubblicano, mostra di aderire entusiasticamente all’idea di tale forma istituzionale. Publio Cornelio Scipione detto “Africano”, la Lega Lombarda, Francesco Ferrucci, Giovanni Battista Perasso detto “Balilla”, cioè i modelli di azione che Mameli elenca nella quarta strofa, sono certamente esempi di lotta contro lo straniero, ma sono anche un simbolo dell’istituzione repubblicana che combatte il governo monarchico. Infatti, tra le glorie di Roma, ricordate con vibrante retorica come voleva lo spirito dei tempi, viene esaltato il condottiero repubblicano Scipione “Africano” (Scipio) e non Giulio Cesare, Augusto o un altro significativo imperatore.
Sotto il profilo puramente estetico, l’inno di Mameli rivela evidenti debolezze, tanto nelle parole quanto nella melodia di Michele Novaro. Ma, nonostante le sue lacune artistiche, Il Canto degli Italiani riesce immancabilmente a coinvolgere emotivamente gli ascoltatori e a provocare un sentimento di fierezza di appartenere a una nazione che nasce da una lunga storia comune e induce a superare le divisioni e le contrapposizioni. Ne era ben consapevole Giuseppe Verdi che, nel 1864, lo inserì con l’inno nazionale francese La Marseillaise (scritta e musicata da Claude Joseph Rouget de Lisle) e quello inglese God Save the Queen (di Anonimo) nel suo Inno delle Nazioni. E ancora oggi, a oltre centocinquant’anni dalla sua nascita, con la sincerità dei suoi intenti, il suo impeto giovanile e la commozione che sa suscitare, l’inno di Mameli continua a toccare profonde corde emotive.
Il fondamentale ideale che mosse il Risorgimento italiano fu comunque la realizzazione dell’unità della patria. Dalla fine dell’Impero Romano d’Occidente, l’Italia era rimasta frammentata in una miriade di Stati più o meno grandi, talvolta deboli ed effimeri, talvolta potenti e duraturi, ma quasi costantemente intenti a difendere i propri interessi particolari o a combattere feroci lotte fratricide che avevano indebolito l’idea stessa di nazione e avevano inevitabilmente favorita, quando non l’avevano addirittura sollecitata, l’occupazione straniera. Nel 1815, dopo la caduta di Napoleone I, il Congresso di Vienna aveva sancito la divisione del territorio italiano in nove Stati.
Il Canto degli Italiani, nella versione originale, al primo verso riportava l'espressione “Evviva l’Italia”, un incipit banalmente debole e caratterizzato da un generico, sterile e stucchevole entusiasmo. L’espressione “fratelli d’Italia” assunse, invece, un connotato ben diverso. Il termine “fratelli” è il nome che si danno tra di loro i massoni, essendo la fratellanza, con la libertà e l’uguaglianza, la base etica della Massoneria. L’inno divenne così un vero proclama esortativo che scosse le coscienze di destinatari ben precisi: i “fratelli” italiani dell’autore.
L'inno è stato da taluno definito “la Marsigliese italiana”. Si tratta di un’associazione inopportuna, non solo perché La Marseillaise è un inno di guerra composto per rafforzare gli animi dei soldati francesi dell’armata del Reno impegnati a difendere la giovane repubblica nata dalla rivoluzione, ma soprattutto perché usa il termine enfants - che nell'espressione corrente significa “figli” - non quello di “fratelli”. La differenza è fondamentale, poiché i figli hanno uno status che li relaziona gerarchicamente ad un padre e ad una madre che autorevolmente li guidano, mentre il termine “fratelli” implica un'unione orizzontale e paritaria.
Il Canto degli Italiani è stato qualificato come un inno blasfemo ed antireligioso, mentre un’analisi anche superficiale del testo evidenzia la fede profonda del suo estensore. La terza strofa, in particolare, quella centrale di tutto l’inno, è una sintesi della vocazione massonica e religiosa del suo autore. Il programma di azione che i liberi muratori si prefiggono è quello di unirsi ed amarsi per rivelare al mondo che le vie di Dio sono l’unione e l’amore universali.
L’inno fa pure riferimento alla storia religiosa europea, in particolare alle vicende dei movimenti pauperistici del XIII secolo. In quell’epoca si sentiva un forte bisogno di rinnovamento del clero, rilassato, corrotto e sclerotizzato. Esso era divenuto sordo alle necessità di sopravvivenza di larghi strati di popolazione che soffrivano la miseria, la desolazione e l'abbandono. Nel nuovo clima spirituale, i poveri diventarono fratelli che avevano bisogno di altri fratelli che li soccorressero. Si trattava di una vera rivoluzione interiore, con innegabili ricadute sociali, dove la metafora dei “fratelli” ha l'energia di superare le divisioni sociali e di dare dignità al povero. Questi non è più il colpito da Dio, un portatore di chissà quali colpe o comunque un’icona del male presente nel mondo alle prese con un destino a cui sembra doversi rassegnare. Si tratta semplicemente dell'“altro” inteso come prossimo da aiutare, dunque non di un estraneo ma di un fratello. Gli esempi della Cavalleria, dei Catari, di Francesco d'Assisi e di Pietro Valdo, sia pure nella loro diversità, sono forse quelli più significativi. È sorprendente vedere rilevata l'esigenza, da parte dei movimenti spirituali, di aiutare i fratelli poveri. Sono fratelli che si dedicano alla cura di altri fratelli. In questo senso si ristabilisce l’armonia di una famiglia, non nel senso naturale dei legami biologici, ma in quello spirituale, fortemente permeato di idealità. “Fratello” è un termine tipico del XIII secolo, anche se la parola latina frater acquista una connotazione religiosa fin dal IV secolo.
Si noti come, tanto nella Massoneria quanto nei movimenti pauperistici medioevali, il termine che li caratterizza è quello di “fratello” e “sorella” e non altri, come amico, camerata, compagno, socio, collega che caratterizzano l'impegno politico, le unioni di affari, le società che hanno una funzione più spiccatamente materiale e meno ideale. La Massoneria affonda lì le sue profonde radici, ma si lega senza dubbio anche all'Illuminismo europeo del XVIII secolo Si riconoscono ”fratelli” quanti, in nome della luminosa ragione, mirano a combattere l’oscurità dell'ignoranza e della superstizione e in questa chiave si danno mutuo soccorso e premurosa assistenza. Una sorta di fratellanza morale, di cosmopolitismo fraterno. In sostanza, i massoni si prefiggono di diffondere “l'amore fraterno tra gli uomini” rispettando il credo religioso di ciascuno. La ricerca della verità e la fratellanza, appunto, devono servire a riunire l'umanità combattendo l'ignoranza e il fanatismo.
Il concetto di fraternità insito nella Massoneria, è come un “mistico legame fraterno”. È certo, al di là delle interpretazioni e delle deviazioni storiche, che anche in questo caso il termine “fratello” assume una connotazione di tipo ideale e morale. Pertanto, la fratellanza massonica è intesa come un’estensione, una trasfigurazione del legame biologico e familiare e si eleva ad una modalità di rapporto caratterizzato dal reciproco aiuto fino alla dedizione della vita. Se nel nostro tempo la figura del fratello biologico si appanna e rischia di perdere valore, rimane quella ideale di fraternità intesa come legame esemplare.
Giova segnalare come nelle relazioni con il Male, con Satana, non si usi mai il termine di fratello, ma quello di figlio-schiavo, di sottomesso. E ciò non solo da parte di chi individua in Satana l'antagonista, ma anche dai suoi stessi adepti. In definitiva, nel satanismo domina il bisogno di mostrare un rapporto di soggezione, mentre nella fratellanza, che deriva dalla comune filiazione divina che non schiavizza ma rende liberi, il rapporto è paritario. In questo senso si distinguono i figli di Satana dai figli di Dio, i figli delle Tenebre dai figli della Luce.
Mameli era un massone, non un ateo. Lo provano tutti i riferimenti religiosi e i richiami divini contenuti nell’inno. Non va confuso con la miscredenza l’anticlericalismo massonico del XIX secolo, il quale non voleva avere e non aveva un connotato meramente antireligioso, ma aveva una chiara valenza ideologico-politica. Era la fine del potere temporale dei papi l’obiettivo degli irredentisti massoni e liberali, la fine del dogmatismo schiavizzante e non la fine del cristianesimo in quanto tale. Per contro, la fede nell’inscindibilità della natura di guida religiosa e di sovrano temporale attribuiti dal cattolicesimo alla persona del vescovo di Roma faceva ritenere blasfemo l’obiettivo dei patrioti italiani. Non va dimenticato che ancora oggi, sia pure nella limitatezza territoriale del suo Stato, il papa è un monarca assoluto. Se oggi il papa ha guadagnato in termini di autorevolezza spirituale e morale, anche agli occhi dei non cattolici, lo deve pure alla perdita della sua importanza come monarca politico, come capo di uno Stato invischiato nelle lotte di potere temporale. Paradossalmente, è lecito affermare che il 20 settembre 1870, giorno della presa di Roma da parte dei bersaglieri del generale Alfonso La Marmora, egli pure massone, fu una data fausta non solo per l’Italia, ma anche per la chiesa cattolica, liberata dal potere temporale. Ma la strada per l'affrancamento dalle pretese monopolistiche e dogmatiche sulla Verità e l'affermazione della libertà della ricerca spirituale è ancora lunga.
Liberamente tratto dall'archivio di Delta (M. M.)