I catari di Monforte - PRIMA PARTE

I catari di Monforte - PRIMA PARTE

A Milano, fra le centralissime Piazza del Tricolore e Piazza San Babila, si trova corso Monforte.
Non è chiaro, ai più, da cosa questo nome derivi.
È storicamente provato che in epoca medievale venne edificata, in quella che è oggi la Piazza del Tricolore, presso le mura cittadine, una pusterla che venne battezzata Monforte. Non è dato sapere se fu la pusterla a prendere il nome dalla strada, che era quindi già esistente, o se fu la pusterla a dar nome alla strada costruita successivamente. In ottemperanza al Piano Beruto, nel 1889, la pusterla divenne una Porta, l'ultima delle porte costruite lungo la cinta daziaria di Milano.
Si trattava di una bella porta dotata di lampioni a gas, che ebbe vita brevissima. Nel 1919, infatti, con l'abolizione della cinta daziaria venne smantellata. Ne rimangono oggi solo i resti in Piazza del Tricolore. Il motivo per cui esistessero colà una zona, una via e un ingresso dedicati a Monforte rimane, tuttavia, oscuro ai più. Zona, pusterla e strada acquisiscono il proprio nome in epoca medievale, un periodo in cui le classificazioni toponomastiche prendevano il nome da persone o avvenimenti legati al luogo nominato.
Sono in pochi, però, oggi, a sapere quale parte della propria storia legasse le due località di Monforte e Milano in quel periodo.

 

 

Partiamo da lontano.
Sin dal IX secolo, nei territori che si estendevano fra Tracia e Bulgaria, proveniente da Oriente, si sviluppò una dottrina fu alla base di uno dei movimenti eretici più importanti e fecondi dell'Europa medievale: i Catari.
Nell'eresia catara si trovano principi comuni al Mazdeismo e allo Zoroastrismo, presenti anche Manichesimo, nello Yazidismo e in molte altre dottrine gnostiche.
L'idea di fondo propone una visione dualistica dell'Universo, ove convivono Bene e Male come elementi fondamentali della creazione. L'evoluzione di pensiero che porta al Catarismo considera l'Universo spirituale come creazione del Bene e quello materiale come creazione del Male. Questa visione, controversa e contraria alla dottrina Cattolica, è, in realtà, presente anche nelle Sacre Scritture: in Apocalisse 13,7 si dice chiaramente che al Gran Dragone è stato dato "potere su tutte le tribù, su tutti i popoli, su tutte le lingue e su tutte le nazioni."; in Giovanni 18,33-37 Gesù, interrogato da Pilato, risponde "Il mio regno non è di questo mondo"; nel Vangelo di Matteo 4, 8-9, il Diavolo tenta Gesù nel deserto portandolo sopra un monte altissimo, mostrandogli "tutti i regni del mondo e la loro gloria" e dicendogli: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai»".
La coesistenza di bene e male, per il Cattolicesimo principi contrapposti, non fu l'unico concetto della dottrina Catara ad urtare la Chiesa del tempo.
I reali problemi che l'eresia Catara portava alla Chiesa Cattolica erano molto più pratici e consistevano in una sorta di libertà di conoscenza e predicazione della parola di Dio, praticabile da chiunque, indipendentemente dal genere o dalla condizione sociale; nella convinzione che l'Eucarestia non fosse un sacramento riservato ai sacerdoti bensì un momento di condivisione comunitaria; nel fatto che per le comunità Catare non fossero necessari luoghi di culto, potendosi professare ed esercitare liberamente e ovunque la propria fede. Alcuni concetti secolari, inoltre, creavano non pochi problemi non solo alla Chiesa Cattolica, ma anche alla società feudale e ai dignitari laici.
Parliamo di concetti quali la non sacralità del matrimonio, lo svincolo dalla procreazione per l'unione fra uomo e donna, la professione della comunione dei beni posseduti dalla comunità e l'eguaglianza dei diritti per tutti.
Certo non poteva, quindi, il catarismo, portatore di certi valori, essere visto di buon occhio dal Cattolicesimo e dalla società dell'epoca.
A cosa portò questo per Catari è oggi storia, anche se perlopiù misconosciuta o travisata. Ancora oggi, infatti, il testo di riferimento per la storia e gli usi delle comunità catare medievali è "Profilo dell'eresia Medievale (Catari e Valdesi)" edito da Morcelliana il 1° gennaio del 1950, scritto da Raoul Manselli (Napoli, 8 giugno 1917 – Roma, 20 novembre 1984). Esso, insieme agli scritti successivi dello stesso autore, costituisce il riferimento degli studiosi che, ancora oggi, cercano di far luce sul fenomeno del Catarismo in Europa. Cosa che sarebbe, di per sé, negativa, se non fosse che Manselli, per la redazione dei suoi testi, utilizzò quasi esclusivamente i verbali e le relazioni che gli Inquisitori del tempo avevano redatto, a seguito degli interrogatori e dei processi subiti dagli eretici Catari catturati per essere mandati sul rogo.
Se consideriamo che l'Inquisizione venne creata dalla Chiesa Cattolica con il precipuo scopo di sopprimere l'eresia Catara, la scelta di Manselli non costituisce sicuramente patente di affidabilità.

Analizziamo, quindi, il fenomeno.
Il Catarismo trova la luce fra Tracia e Bulgaria attorno al X secolo e, da lì, attraverso gli spostamenti dovuti all'espansione Longobarda, raggiunge il resto d'Europa trovando terreno fertile in Francia e nel centro-nord dell'Italia.
Attorno al X secolo si registra, infatti, un forte spostamento di gruppi etnici dalla Bulgaria alla Toscana, dove si avrà una fortissima presenza Catara, soprattutto nella città di Firenze, con esponenti anche illustri come Guido Cavalcanti e, secondo alcuni, lo stesso Dante Alighieri.
Nel medesimo periodo, sempre dalle Zone di Tracia e Bulgaria, altri gruppi migrarono verso i territori, rinselvatichiti, del sud del Piemonte occupando zone ormai abbandonate dalle popolazioni autoctone e confondendosi con gli stanziali.
Questi luoghi erano fiorenti e sicuri al tempo dell'Impero romano, ma si trattava di territori caduti nell'abbandono all'epoca di cui parliamo, quasi 5 secoli dopo la caduta di Roma.
Una di queste comunità, proveniente dall'est Europa e aderente ad una sorta di dottrina protocatara, si collocò, con ogni probabilità, nella zona di Monforte d'Alba, una roccaforte in mezzo alle terre boscose e selvagge del Sud del Piemonte.
Parliamo di un periodo fra il IX e il X secolo, precedente alla storia dei Catari d'Europa raccontata nei testi di storia, che si svolge fra il 1144 - anno in cui Everino di Steinfeld scrive a San Bernardo citando la nuova eresia che si è venuta sviluppando a Colonia e in Renania -, il 1167 - allorché i catari di Provenza e Italia tennero a Saint-Félix-de-Caraman, presso Tolosa, un proprio concilio, che portò alla creazione della Chiesa Catara, organizzata in vescovati e Diocesi -, il 1179 - in cui venne "creata" l'Inquisizione, che sfociò poi nell'inquisizione Vescovile e nella scomunica ai Catari – e il 1209 - anno in cui Papa Innocenzo II promosse la Crociata contro gli albigesi, che portò allo sterminio dei Catari in Provenza e all'annessione del Regno di Provenza a quello Capetingio.

I fatti di cui noi parliamo si svolsero nel 1027-1028, quasi un secolo prima.
Cosa portò agli avvenimenti che resero celebre Monforte d'Alba e quali furono i reali motivi che portarono a questi fatti non sarà mai certo. Solo le vicende finali di questi fatti ci sono giunte fino a noi.
Possiamo però, sviluppare alcune ipotesi fondate.
Il periodo in cui ci troviamo è quello del Sacro Romano Impero. Nel 1024, alla morte di Oddone III ed Enrico II, si estingue la dinastia di Sassonia e il potere passa nelle mani di Corrado II il Salico, della casa di Franconia.
A questo punto Corrado deve farsi incoronare Imperatore da Papa Giovanni XIX e, per farlo, deve andare fino a Roma. E ci deve anche andare in fretta, perché in Italia sono già iniziati i primi disordini.
Alla morte di Enrico II, infatti, nel tentativo di separare il Regno d'Italia dall'Impero, è stato distrutto il Palazzo Imperiale di Pavia, costruito ai tempi di Teodorico. Era questa la principale roccaforte imperiale d'Italia, usata come magazzino, arsenale e palazzo governativo.
Pavia non era nuova a questi moti di ribellione: già nel 1002 si era resa rea di aver tentato una scissione incoronando Arduino di Ivrea Re d'Italia.
Questa scissione, anche se mai portata a pieno compimento, aveva destabilizzato l'intera regione e, ancora ai tempi nei quali si svolge la nostra storia, ad opera degli eredi di Arduino, morto nel 1015 di malattia presso l'Abbazia di Fruttuaria, erano vivi moti scissionisti in tutto il territorio.
L'Italia Settentrionale non era, quindi, un posto particolarmente sicuro per l'Imperatore che, come da tradizione, doveva prima recarsi a Milano o Pavia per essere unto re D'Italia e, in seguito, proseguire per Roma, dove sarebbe stato incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero.
Corrado così fece: si recò a Milano, ove ottenne la Corona di Re d'Italia nel 1026, e da Milano partì per Roma.
Immaginiamoci, però, l'Italia e la società europea dell'anno 1000. Caduto l'Impero Romano si era avuta una regressione in ogni ambito scientifico e sociale.
Molte conoscenze erano andate perdute e, per secoli, si erano smontati i fabbricati romani per costruire nuove case, ovviando all'incapacità sopraggiunta di creare mattoni con la medesima qualità che questi avevano nel periodo romano. Lo stesso avvenne con i marmi e le altre pietre necessarie per la costruzione degli edifici e delle opere pubbliche, la cui estrazione e trasporto erano divenuti difficoltosi, se non impossibili.
L'Impero aveva la potenza economica e militare per estrarre le materie prime dalle cave, edificare palazzi, strade, ponti, acquedotti e fognature e mantenerli funzionanti: una struttura burocratica che manteneva in ordine le strade, una militare che le teneva sicure e una tecnica che le riparava o ampliava se necessario.
Questo comportava una maggiore sicurezza e velocità negli spostamenti, ma anche una miglior comunicazione e un'urbanizzazione più capillare, da cui scaturivano la sicurezza, la tutela e salvaguardia del territorio e delle comunità che lo abitavano.
Con il crollo dell'Impero Romano tutto questo scomparve. La povertà, i saccheggi, le guerre, il tracollo della struttura statale, il frazionamento territoriale, le faide fra comunità: tutto questo portò ad una perdita di sicurezza generale.
Nell'XI secolo solo poche strade - le arterie principali - erano tenute in ordine. Anche in lungo queste, però, vaste zone, prima sicure, erano sottoposte a continue razzìe da parte di bande di predoni composte da soldati sconfitti, disertori, poveri, e fuorilegge in genere.
Si consideri anche che la nobiltà romana era stata cancellata dai popoli nordici entrati a successive ondate, e sostituita da una nuova nobiltà, con valori e principi differenti: spesso il signore di un certo luogo si preoccupava solo della propria sicurezza. Nella migliore delle ipotesi di quella delle popolazioni sottoposte al suo impero, anche se solo a scopo di tassazione: se i banditi depredavano i campi e gli armenti, i fattori non potevano pagare i tributi.
Le strade erano poco sicure e mal tenute. Gli spostamenti erano divenuti lenti e macchinosi, tanto perché, in molti casi, non vi erano più strade dirette sicure, quanto perché i nobili, tanto più alto era il rango tanto più si muovevano con folte carovane, poiché portavano con sé tutta la corte. Occorrevano diversi giorni di viaggio da una città all'altra e la nobiltà portava con sé tutto quanto fosse necessario per ricostruire gli agi dei palazzi ovunque si trovasse. I tempi per montare e smontare i campi dei signori, che nel caso di un Imperatore erano delle regge mobili, erano molto lunghi, facendo dilatare a dismisura i tempi degli spostamenti.
Non bisogna, poi, dimenticare che spostare una così grande massa di persone e animali richiedeva ingenti spese e non esistevano banche o bancomat al tempo. Poteva certo capitare che la corte in marcia fosse ospite di qualche nobile, ma non dobbiamo aspettarci che, come nei film, questa ospitalità fosse automatica e gioiosa.
Intanto perché, dalla parte di chi era in viaggio, se non si era più che sicuri della fedeltà o amicizia dell'ospite, si evitava di andare ad infilarsi in un maniero, in mezzo ad un esercito nemico, rischiando la vita. Questo è, ad esempio, il motivo per cui Corrado, piuttosto che a Pavia, preferì farsi incoronare a Milano.
Poi perché i costi per l'Ospite erano tali da rendere inviso il Principe che non si fosse presentato con regalìe tali, in termini di beni o territori, da giustificare l'esborso per il mantenimento della carovana in movimento.
La cessione di territori ad un nobile comportavano sempre malumore da parte di chi ne perdeva il controllo o da parte della comunità che perdeva il proprio diritto all'autodeterminazione e diventava tributaria di qualcuno.
Come visto, inoltre, non esistevano banche: queste furono una creazione dei Templari, sviluppata, in seguito, dai fiorentini.
Occorreva, quindi, portare con sé il denaro necessario per pagare le truppe e foraggiare gli animali: tanto denaro. Quando parliamo di denaro nell' XI secolo, non parliamo di monete e banconote come le nostre odierne, ma di pezzi d'oro e d'argento e preziosi in genere, quantità ingenti che facevano gola a molti e andavano difese.
In un circolo vizioso, la loro difesa richiedeva soldati che andavano pagati, facendo ulteriormente aumentare i costi e le necessità di trasporto.
Era, quindi, tutt'altro che semplice trovare la quadra e impossibile deviare da quelle poche strade ancora sicure esistenti, anche a costo di allungare ancora la percorrenza ed i tempi di viaggio.
Corrado, che già aveva dovuto dirottare su Milano per l'incoronazione a Re d'Italia da parte dal vescovo Antimiano, non potendosi fidare di Pavia, i cui cittadini avevano distrutto il Palazzo Imperiale e reso insicura la città, deve ora recarsi a Roma per essere incoronato Imperatore dal Papa. La strada più sicura per lui e la sua corte passa da Asti, suo possedimento
Giunto ad Asti, devia verso Alba, da cui parte la Via Magistra Langarum, un'antica via maestra romana che scende in Liguria ove, poco dopo Millesimo - così chiamato perchè si trovava al millesimo miglio da Roma - si congiunge alla via Aurelia, una delle arterie principali dell'Impero romano e, forse, la via principale d'Europa.

Ma quale è la situazione politica nel basso Piemonte in quel periodo storico ?
Parliamo di Torino.
La Torino medievale non era propriamente un centro di importanza fondamentale ma, dal 950 al 1091, divenne capoluogo di una vasta Marca che comprendeva Asti, Alba, alcuni Comitati senza centri urbani e la Liguria occidentale. I Marchesi di Torino, gli 'arduinici', dal loro capostipite Arduino, esercitavano un controllo incontrastato sulle strade.
Arduino però, direte voi, ebbe un ruolo fondamentale nella destabilizzazione dal nord ovest al momento dell'estinzione del ramo di Sassonia della Corona Imperiale, venendo nominato Re d'Italia a Pavia per contrastare l'Impero.
Quello Arduino era, però, Arduino di Ivrea, nato Arduino di Dadone e conosciuto come Arduino da Pombia. Era figlio di un certo Dadone, forse conte di Pombia, e marito di Berta degli Obertenghi, figlia del Marchese di Milano e Genova, Oberto II.
Ma Forse no.
Forse Berta non era figlia di Oberto II. Molte cronache ne parlano come figlia di Oberto II, altre come figlia di Oberto III.
Probabilmente non era neppure moglie di Arduino di Ivrea in quanto, per alcune cronache, risulta essere moglie di Olderico Manfredi II.
Qualcuno dice che Berta, moglie di Arduino di Ivrea, fosse identica a Berta Obertenghi, per altri era, invece, figlia di Uberto di Toscana, Marchese di Toscana e Duca di Spoleto e, secondo altri ancora, era figlia di Amedeo, figlio di Anscario II, reggente di Asti fino al 936.
Come vediamo non erano solo le strade ad aver risentito della caduta dell'Impero Romano.
Ma non è tutto. Dadone, padre di Arduino di Ivrea, fu forse figlio del primo Conte di Pombia, Amedeo I d'Ivrea, diretto discendente di Anscario I di Ivrea, fondatore della dinastia degli Anscarici. Ma forse era il fratello di Amedeo I. Comunque fosse, Dadone succedette ad Adalberto, figlio di Amedeo I, e governò Pombia dal 973 al 998.

Non che ci interessi molto di dirimere queste questioni genealogiche, ma ne abbiamo parlato per far comprendere come non si fosse certo in periodo di chiarezza anagrafica.
E neppure di certezza di governo.
Arduino di Ivrea, Re d'Italia, venne nominato Marchese di Ivrea dall'Imperatore Ottone III, a causa della Morte del precedente marchese, Corrado Conone, che lasciò questa valle di lacrime senza aver generato eredi. Nel 990 Arduino ricevette la marca di Ivrea e, nel 991 venne nominato Conte del Sacro Palazzo, ricevendo il controllo di una regione che andava da Ivrea alla Lomellina, attraversando Novara, Vercelli e Pavia.
Nel 997, però, iniziò ad entrare in contrasto con la Corona Imperiale che aveva, nel frattempo, intrapreso la strada della concessione del potere comitale ai Vescovi, riducendo il potere e gli appannaggi dei nobili.
Per tale motivo Arduino entrò in aperto contrasto coi Conti di Ivrea e Vercelli, giungendo ad assediare Vercelli, bruciare il Duomo e uccidere il Vescovo nel febbraio del 997.
Intervenne, a quel punto, Warmondo, Vescovo di Ivrea, che scomunicò Arduino. Questo comportò saccheggi e violenze da parte di Arduino ai danni della città di Ivrea tanto che, nel 999, Silvestro II, salito al soglio Pontificio per volere dell'Imperatore Ottone III, convocò a Roma Arduino e lo scomunicò davanti al Sinodo e all'imperatore stesso.
Tanto per far capire come funzionavano le cose al tempo, basti pensare che Arduino, per tutta risposta, rientrò a casa e cacciò dalle loro sedi i Vescovi di Ivrea e Vercelli.
L'Imperatore, allora, sollevò dalla propria carica Arduino e diede la Marca ad Olderico Manfredi, incaricandolo di sedare le rivolte degli Arduinici.

A.R.

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