«Fermati, scellerato! Se continui a rodere le radici dell’albero, lo farai vacillare e, infine, crollare; ed io perirò con esso, insieme a tutto il creato!»
Non essendo chi scrive esperto di mitologia scandinava, né, tanto meno, conoscitore di lingue nordiche, posso solo immaginare quali potessero essere le concitate frasi che l’aquila appollaiata in cima all’albero cosmico, il frassino Yggdrasill, rivolgesse all’indirizzo del serpente Nidhhöggr, il quale, non solo incurante della salute del mitico arbusto, ma dell’intero universo, minandone perpetuamente la stabilità, da un lato si faceva beffe del pennuto, dall’altro poneva le basi per l’avvento del Ragnarök.
Elementi simili al racconto norreno sono riscontrabili in svariate mitologie disseminate per il globo, appartenenti a popolazioni distanti fisicamente, cronologicamente e culturalmente, riconducibili alla presenza di un albero (spesso di grandi proporzioni), di un pennuto in cima ad esso (che sia un’aquila, una fenice o un gallo) e di un altro animale (più frequentemente serpente o drago) allocato nei suoi paraggi, che vi si attorciglia o che attenta alla sua vita.
Il mito della fenice, forse più noto alle nostre latitudine, ci racconta di un volatile d’infinita bellezza e dal canto meraviglioso, il cui piumaggio riluce di colori che spaziano dal rosso all’oro, il quale, trascorsa una vita lunghissima (alcune fonti, come Erodoto, ci parlano di cinquecento anni, altre, come Lattanzio, di mille), dallo svettante albero su cui vive nelle terre d’oriente, al sentir approssimarsi l’ora suprema, percorre un lunghissimo viaggio per morire in Egitto, bruciando nel suo stesso rogo. Dalle sue ceneri, prenderà nuovamente vita, compirà il viaggio di ritorno alla sua dimora d’origine per nidificare sulle stesse altissime fronde.
Fulcro della ricerca dello scrivente è portare alla luce le connessioni fra il prodotto della cultura e dell’ingegno dei popoli antichi (che siano racconti mitologici o costruzioni megalitiche) e la profonda conoscenza che essi avevano, spesso misconosciuta o sottostimata dai moderni studiosi, della volta celeste. L’albero cosmico di cui si parla in molte mitologie altri non è che l’asse di rotazione terrestre. Seguendo il criterio della metafora astronomica, viene da sé che il volatile appollaiato in cima alla colossale pianta sia la Stella Polare, al giorno d’oggi Alpha Ursae Minoris. La posizione apparente di quest’ultima sulla sfera celeste, infatti, non è stabile e cambia nel corso delle ere a causa del fenomeno della precessione degli equinozi.
La Terra, compiendo la sua annuale rivoluzione intorno al sole, ruota su sé stessa, poggiando idealmente su quello che viene definito “piano dell’eclittica”, rispetto al quale l’asse di rotazione terrestre è inclinato di ventitré gradi e ventisette primi. Oltre alla rivoluzione e alla rotazione, esistono altri movimenti compiuti dal nostro pianeta, il più importante dei quali, almeno ai fini della presente esposizione, è il già citato moto precessionale. Per meglio comprenderlo, potrebbe aiutare immaginare la Terra come una gigantesca trottola il cui asse di rotazione, nell’arco di oltre 25000 anni, compie un giro completo. Ne consegue che il punto fisso del cielo - quello intorno al quale le stelle sembrano girarvi intorno - non rimane immutato in eterno, ma cambia molto lentamente e che la stella adiacente al polo nord celeste cederà il posto a una compagna, la quale, a sua volta, diventerà la nuova Polaris.
A conferma di quanto detto, si può ricordare come nell’era dell’Ariete (precedente all’attuale era dei Pesci, ormai giunta al termine) la stella indicante il polo nord non fosse quella odierna, bensì Beta Ursae Minoris, altresì nota col nome di Kochab, astro dal caratteristico colore rosso-arancio. La colorazione della luce della stella e la posizione che essa occupava in cielo, perfettamente corrispondente al prolungamento dell’asse terrestre, rimanda istantaneamente all’immagine del volatile appollaiato in cima a un albero. Ad ulteriore sostegno della tesi, ci viene in soccorso la nomenclatura popolare di talune stelle, associate spesso a pennuti. Si citano, ad esempio, i binomi Vega-avvoltoio, Pleiadi-colombe.
Arrivati a questo punto dell’esposizione, l’analogia fra asse di rotazione terrestre/albero cosmico e stella polare/volatile è ormai data per assodata; rimane ancora da capire cosa c’entri il serpente. Ebbene, la costellazione che lambisce quella dell’Orsa Minore - di cui fa parte la stella identificata con la fenice - e che nel cielo stellato disegna intorno ad essa una semi circonferenza, è quella del Dragone. Gli antichi astronomi, infatti, a causa della sua forma allungata e del suo apparente moto circolare, non poterono che identificarla, a seconda delle culture, con un serpente o con un drago. Ecco spiegata la ragione per cui l’aquila di Yggdrasill inveisce contro il serpente! Consumando le radici dell’albero e causando il movimento rotatorio dell’asse terrestre, quest’ultimo avrebbe fatto sì che una nuova stella indicante il nord si avvicendasse alla precedente. A queste dinamiche celesti, analogamente, si deve il fiorire del mito della fenice e della sua perpetua morte e rinascita.
Ad aggiungere ulteriori prove circa lo stretto legame che intercorre fra la stella polare, alias fenice, e la costellazione del dragone, è la cultura cinese. L’iconografia tradizionale mostra draghi mentre stringono una perla fiammeggiante fra gli artigli. In alcuni miti le due creature si combattono, in altri si amano alla follia, tanto da essere identificati come la controparte celeste dell’imperatore e dell’imperatrice. I parallelismi, però, non si fermano qui. A Pechino, com’è noto, i regnanti terreni dimoravano nella cosiddetta “Città Proibita Porpora” (secondo la traduzione letterale di Zi Jin Cheng). Ora, la Stella Polare (quella di 2000 anni fa), nell’antica Cina, era chiamata Ziwei, cioè, “stella color porpora”. Quest’ultima era considerata la dimora dell’Imperatore Celeste, al cui regno era stato dato il nome di “Recinto di Ziwei” che, estendendosi in una porzione di cielo comprendente le stelle circumpolari, era delimitato, neanche a dirlo, dalla costellazione del dragone.
Alla luce di quanto testé trattato, lascio i lettori con la consapevolezza che quando alzeranno gli occhi al cielo richiameranno alla mente i miti fin qui evocati, provando l’ebrezza di sentirsi spettatori e interpreti di una sublime danza cosmica che, incessantemente, era dopo era, muove i destini degli astri e degli uomini.
ArcheoMysterium