Sappiamo che, fin da tempi antichissimi, tutti i popoli, seppur con diversità di riti e manifestazioni, hanno sempre elevato inni di gioia e di riconoscenza per celebrare la festa del sole, entità universalmente riconosciuta come rigeneratrice e fonte di vita. Gli egizi, ai quali la Massoneria è debitrice di buona parte dei propri misteri, celebravano la vittoria di Osiride come allegoria della vittoria della luce sul dio delle tenebre.
È facile, quindi, dedurre che queste ricorrenze erano (e lo sono ancora oggi!) le feste dei figli della Vera Luce, per i loro contenuti allegorici e filosofici.
Secondo un’antica tradizione i Massoni, al tempo delle Crociate, si unirono ai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme e si posero sotto la protezione del santo, dedicandogli le Logge. Da allora, le due ricorrenze solstiziali mantengono un’importanza cruciale per la vita di ogni Massone.
Non a caso i due Giovanni rappresentano un’immagine di correttezza morale che ben si sposa con i nostri convincimenti. Sappiamo infatti che San Giovanni Battista, precursore e annunciatore di Cristo e San Giovanni Evangelista, fervente apostolo e discepolo prediletto di Cristo medesimo, offrirono durante la loro vita altissimi esempi di carità.
“Amatevi l’un l’altro. Questo la legge comanda!” diceva l’Evangelista.
Questo stesso precetto, per i Massoni, è posto a fondamento della nostra Istituzione, valido in ogni tempo e luogo. Senza addentrarci in un discorso puramente religioso e dal sapore agiografico, consideriamo i due Giovanni come uomini, spogliandoli di qualsiasi attributo di santità, ma attribuiamo al loro nome il significato di una allegoria sulla quale è caduta la scelta delle festività più importanti del nostro Ordine.
Vi è un’affinità etimologica tra le parole “Giovanni” e “Giano”; esse hanno in comune la radice ebraica “Jom”, che significa giorno. Ci pare opportuno richiamare alla mente che da Ianus, nome sotto il quale i Romani adoravano il sole, ha avuto origine il termine Janua, che significa apertura, varco attraverso il quale filtra la luce del giorno.
Janus era anche chiamato Janitor perché apriva le porte del giorno e quelle dell’anno (Januarius era il nome del primo mese dell’anno). Ricordiamo, poi, che Giano era raffigurato con due facce, una delle quali rivolte al passato, l’altra all’avvenire ed era in possesso di due chiavi, una destinata ad aprire l’anno, l’altra a chiuderlo.
Nell’epoca in cui il Cristianesimo era la religione dominante ma non ancora del tutto accettata e interiorizzata da ogni strato della popolazione, non è da escludere l’ipotesi secondo la quale gli adoratori del sole abbiano cercato di mimetizzarsi nascondendo il nome del proprio dio sotto quello di San Giovanni, per poter così celebrare impunemente le feste solstiziali. La più importante delle due celebrazioni era quella invernale quando il sole, disceso al suo punto più basso, sembra quasi morire sommerso dalle tenebre che attenuano l’intensità e ne oscurano la luce. Ma il momento della sua morte apparente coincide con quello della sua rinascita, perché l’astro riprende la corsa che sembrava interrotta e torna a illuminare la terra.
Sotto il profilo filosofico noi identifichiamo nel sole l’istituzione massonica, perché illuminandoci con la luce della verità dissipa le tenebre dell’ignoranza, dell’ipocrisia, dell’ambizione e dell’egoismo e riscalda i nostri cuori con il fuoco dei sentimenti che, arricchendo la nostra personalità, crea le premesse per una feconda esistenza lungo l’arduo cammino iniziatico.
I Massoni di tutto il mondo, quindi, non vivono le feste dedicate ai due santi in una comunione spirituale con il Cristianesimo; in occasione del solstizio d’estate, noi offriamo al Grande Architetto dell’Universo un solenne ringraziamento per l’abbondante raccolto e per il calore dei mesi estivi; al solstizio d’inverno manifestiamo la speranza che l’astro possa ricominciare il suo ciclo inondando il mondo con la sua luce vivificatrice, promessa di ulteriori, nuovi abbondanti raccolti.
Ma chi erano questi due personaggi così importanti?
San Giovanni Evangelista, figlio di Zebedeo e di Salomè e fratello di San Giacomo, secondo la tradizione nacque a Betsaida, in Galilea. Era un pescatore e, poco dopo la morte di Gesù, cominciò a predicare la nuova fede in Asia Minore. Fu primo vescovo di Efeso, morì nell’anno 99. Il suo vangelo può essere considerato come un valido breviario di iniziazione. Esso è infatti il vangelo della Luce: questa è la ragione per cui i nostri templi si chiamano Logge di San Giovanni.
Le analogie fra quanto riportato nel testo sacro e le nostre regole sono molteplici.
Nel primo capitolo del Vangelo vengono date indicazioni sul cammino da seguire, da compiere nel più rigoroso rispetto delle regole della morale; non a caso noi tutti dobbiamo essere e conservarci “liberi e di buoni costumi”.
Nel secondo capitolo viene citato l’episodio in cui Gesù caccia i mercanti dal Tempio, esclamando: “Non fate della casa del Padre una casa di affari”. Anche queste parole hanno una profonda assonanza con precetti cari ai Massoni.
Nel quarto capitolo, la guarigione del malato ci ricorda la condizione del profano, nel momento della sua iniziazione, in cui passa da uno stato a un altro.
I parallelismi continuano anche in altri capitoli e riguardano altri aspetti della vita massonica, come la ricerca della verità, la lotta ai vizi e il desiderio di accrescere la propria conoscenza.
Inoltre, nelle Logge di molte Obbedienze, il giuramento dell’iniziato è prestato sulla Bibbia, aperta proprio alla pagina del prologo del Vangelo di Giovanni, ove si legge: “Al principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio(…)”
Una possibile esegesi di queste parole suggerisce che il Verbo (o Logos), creatore del nostro sistema solare, non sia il dio onnipotente, ma il demiurgo intermedio tra uomo e dio. L’idea stessa del Logos è riconducibile al simbolo della luce, del fuoco-principio che non è causa prima, ma la sua manifestazione ed emanazione, da cui ha origine il nostro universo.
Anche per questo la figura di San Giovanni coincide con il simbolo del fuoco e della luce, con alcune particolarità: la festa del Battista è caratterizzata dall’accensione dei fuochi (i celebri falò di San Giovanni), mentre quella dell’Evangelista coincide con l’abete, l’albero sempre verde.
Il fuoco di San Giovanni brucia in seno alla Natura ed è una manifestazione esteriore della luce che si diffonde radiosa nel momento in cui il sole ha raggiunto il suo apogeo. Al contrario, in inverno, l’albero brucia all’interno del focolare: esso è il fuoco che brilla nelle tenebre perché, nel momento solstiziale, vince le tenebre stesse allorché il sole riprende il proprio cammino ascendente.
Se approfondiamo la ricerca, scopriamo che esistono affinità tra alcuni dei nostri simboli e quelli attribuiti all’Evangelista. Il primo è l’aquila, uno dei simboli più arcaici: è un uccello che vola alto, avvicinandosi all’astro e fissandone la luce da una posizione privilegiata. Secondo la Cabala, l’aquila raffigura l’Oriente ed è l’immagine di Uriel, l’angelo del fuoco purificatore.
San Giovanni ne parla così: “L’aquila è l’uccello che volta più alto e che contempla fissamente il sole; tuttavia, la sua stessa natura gli impone di ridiscendere per spiccare ancora una volta un altro, altissimo volo”. Parimenti, il coraggio umano può risorgere e rinvigorirsi se abbiamo dentro di noi forze sufficienti a rinnovare l’ardore sopito. Anche per l’Evangelista, come per il Battista, ritroviamo il simbolismo dell’agnello. La lettera simbolica a lui attribuita è la G, ossia la gamma minuscola dell’alfabeto greco, che in astrologia rappresenta l’ariete.
San Giovanni, poi, è spesso rappresentato mentre tiene in mano un vaso dal quale esce un serpente, simbolo di conoscenza, risurrezione e immortalità. Questo vaso sacro è riconducibile all’esoterismo della coppa simbolica che si ritrova in molte leggende: è il vaso di Ganimede che versava l’ambrosia, il nettare degli dei; è il vaso delle leggende celtiche del ciclo di Artù; è anche il Graal che servì a Cristo quando celebrò l’ultima cena e nel quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue che colava dalle sue ferite. Non a caso, il Graal era ornato con un enorme smeraldo il cui colore verde simboleggia la luce e, per estensione, l’iniziazione. Il verde è proprio il colore attribuito all’Evangelista, così come viene spesso raffigurato. Ma il medesimo verde era quello di Hator in Egitto, di Venere, dea delle arti magiche e di Giano, che aveva conoscenza del passato e dell’avvenire, di Gamesa, dea della saggezza in India e di Freya, dea della luce presso gli scandinavi e i vichinghi.
Nel corano il mantello del Profeta era verde, così come del medesimo colore erano immaginati i vestiti dei beati nel paradiso di Allah.
Nell’apocalisse San Giovanni ci dà una spiegazione di questo simbolismo: “All’improvviso ebbi un’estasi e vidi un trono nel cielo e qualcuno assiso su quel trono. Colui che era assiso pareva simile a una pietra di diaspro e il trono era circondato da un alone e sembrava uno smeraldo”. Il colore verde, simbolo del limite tra terra e cielo, ci facilita la comprensione del divino che deve essere ricercato nel mondo fisico. Il messaggio di San Giovanni, opportunamente interpretato, ci permette di apprezzare il grandissimo ruolo che la Massoneria può svolgere seguendo i principi che ne costituiscono il fondamento. L’uomo può quindi ambire a soddisfare il bisogno di trascendenza insito nel cuore di ognuno, trovando risposte all’inquietudine metafisica che opprime lo spirito.
La Massoneria, priva di qualsiasi dogma a differenza delle religioni, può essere considerata come lo strumento ideale per chiunque abbia sete di conoscenza perché postula come fondamentali e intangibili questi tre principi:
- Il valore assoluto della persona umana;
- La preminenza della missione spirituale dell’uomo, la cui vita non può e non deve essere considerata un semplice passaggio sulla scena del mondo senza lasciarvi traccia;
- La illimitata perfettibilità dell’uomo lungo la via della conoscenza, che è guida alla verità, e l’amore mediante il quale egli si stringe con un vincolo di solidarietà a tutti gli altri uomini.
In un antichissimo rituale si legge: “Il sole, simbolo visibile dello spirito, si è ritirato nelle caverne del Settentrione. Le giornate si sono accorciate e allungate le notti. Il dolore è nelle nostre anime, perché il sole è calore, vita, luce. Noi, Fratelli carissimi, ravvisiamo in questa rituale morte del Signore una fase dell’eterna lotta del Bene contro il Male. Ma il nostro dolore è temperato dalla certezza che il sole, dopo la sua annuale discesa agli inferi, risalirà allo Zenith della nostra coscienza. Così lo spirito dell’uomo, dopo aver dormito nella misteriosa tomba di Saturno, vegliato dai neri corvi della morte, risorgerà a nuova vita in un volo di bianche colombe. È proprio in questa fase di solitudine e di tristezza che l’uomo deve riaffermare la propria indipendenza. Fratelli siate dunque vigili! In tal modo contrastando il vostro stato di veglia con il fecondo silenzio della Natura, giungerete a conoscere voi stessi”.
Il solstizio di inverno, al primo posto tra le solennità dell’anno massonico, simboleggia la porta d’accesso alla caverna, la transizione dal buio alla luce, dalla morte alla rinascita; il solstizio estivo, invece, rappresenta l’uscita dalla caverna cosmica.
L’anno, che costituisce la misura corrente della lunghezza della vita, è quindi segnato da due punti estremi, da un ciclo di espansione uno di concentrazione, un ciclo in cui l’uomo deve essere in grado di immedesimarsi, per intuire l’eternità. Attraverso l’alternarsi di splendore e ombra, lo spirito dell’uomo è così in grado di afferrare il mistero della vita.
Liberamente tratto dall’archivio di Delta (R. L. Nigra, Or. Di Torino)