Il tema del silenzio ha interessato poeti, filosofi, pensatori, scrittori di ogni tempo: se la letteratura mistica ne aveva evidenziato la dimensione ascetico-religiosa, la cultura contemporanea ne ha posto in massimo rilievo la dimensione estetica.
Il silenzio è divenuto il cuore stesso dell’arte contemporanea: la poesia moderna lo ha posto al centro del suo programma, arroccandosi così su posizioni di estremo rifiuto di un linguaggio reputato ormai spento e corrotto; il poeta si avvale del silenzio anche dal punto di vista stilistico, per compenetrare il suo verso poetico e creare quella singolare alternanza di vuoti e pieni che ritroviamo anche nella moderna scultura.
In musica, il riconoscimento del silenzio come valore da esaltare si è fatto particolarmente intenso con il passare dei secoli: se già in passato Mozart e Beethoven avevano riconosciuto l’importanza dei silenzi, in quanto capaci infondere vita e profondità al suono, i musicisti contemporanei hanno arricchito la scrittura musicale di pause che, ulteriormente, purificano ed essenzializzano il suono, consentendogli di “respirare” e ottenendo effetti di originale vivacità ritmica.
Le tematiche che ineriscono al silenzio non hanno mancato di appassionare, in particolare, i filosofi contemporanei che, riprendendo il tema della crisi della parola, hanno stabilito un parallelismo con i poeti: in ugual modo, le loro riflessioni sono caratterizzate da una profonda insoddisfazione per un uso prolisso e incontrollato della parola, che è tipico della società attuale, da cui consegue il loro privilegiare una parola filosofica frammentaria e sbriciolata, ma essenziale.
Il tema del silenzio trova, dunque, quel giusto approfondimento sentito come necessario soprattutto tra i pensatori del Novecento, le cui acute riflessioni hanno evidenziato, nell’uomo del nostro tempo, aspetti inquietanti: quest’uomo vive frastornato da rumori di ogni genere e, tuttavia, ricerca nervosamente la folla per affogare, nel chiasso, l’ansia e il timore della solitudine.
Nemmeno il cinema d’autore ha potuto sottrarsi a una analisi critica della contemporaneità: colui che ne è stato uno dei massimi esponenti, Federico Fellini, nel film “La voce della luna” ha ridicolizzato questa società rumorosa e cialtrona, ponendo sotto i riflettori il silenzio di un mondo agreste, dominato da istinti ancora primordiali; è qui, nell’irreale silenzio notturno di distese di grano, che gli uomini riescono finalmente ad ascoltare la voce della luna. Chi si era mai accorto che la luna avesse una voce? Non certo l’uomo di città, dominato da una delle paure più antiche: quella del silenzio.
Oggi, più che mai, l’uomo convive con questa paura: egli ha sperimentato il silenzio solo nella sua valenza più angosciante, ossia come vuoto, solitudine, morte, fuga da Dio; al tempo stesso però, avverte intensa la nostalgia del silenzio primordiale e sempre più pressante il bisogno di isolarsi in un maggiormente intimo contatto con la Natura, alla ricerca di una identità forse smarrita. Nostalgia, dunque, e paura del silenzio si alternano nell’uomo moderno che si interroga su quali possano essere le cause di questo timore. Forse, per dirla con Jung, si teme ciò che potrebbe venire fuori dalle proprie profondità, ossia ciò che abbiamo tenuto distante grazie al rumore. Da questa osservazione emerge un forte richiamo a ricercare il silenzio come l’unica vera dimensione dove sia veramente possibile l’analisi del nostro Io, la ricerca incessante della nostra identità. La nostra paura del silenzio, unita all’incapacità di mantenerlo, ci preclude non soltanto la possibilità di dare ascolto alle voci interiori ma, inoltre, limita la nostra capacità di ascoltare gli altri. Certamente il non-ascolto può, talora, funzionare come arma di autodifesa contro la valanga di informazioni, stimoli da cui siamo quotidianamente travolti a causa di un uso smodato del linguaggio, però così evitiamo quel faticoso lavoro di selezione che ci consentirebbe di cogliere eventuali messaggi vitali.
La cultura del non-ascolto ha preso oggi il sopravvento e ciò è purtroppo attribuibile anche a istituzioni fondamentali, come la famiglia e la scuola, primi e fondamentali ambienti di educazione e confronto per bambini e ragazzi. Tra i pedagogisti, le riflessioni della Montessori su questo tema rivelano una profondità esemplare, quando evidenziano la necessità di insegnare ai bambini un silenzio non banalmente disciplinare ed esteriore, ma interiore, un silenzio capace di svelare un mondo sconosciuto fatto di rumori e di voci minimali, che non siamo più in grado di percepire: solo nel silenzio si acquista quella capacità di raccoglimento e di concentrazione che può consentire un ascolto autentico.
L’ascolto, strumento conoscitivo per eccellenza, ci apre al mondo e al prossimo e ci inserisce in una dimensione di totale disponibilità e fiducia verso l’altro divenendo, così, il primo requisito per una comunicazione non inquinata dall’arroganza. Colui che vive secondo l’ideale del dialogo ha compreso l’importanza dell’ascolto e, umile, intravede la possibilità che il parlare dell’altro posso arricchire sé stesso, imparando a rispettare e non giudicare le idee altrui. Inoltre colui che nel silenzio si mostra ascoltatore attento, indirettamente costringe chi parla a usare con parsimonia quei giochi linguistici che opacizzano le parole stesse.
Tra silenzio e parola non vi è quell’opposizione che molti credono di ravvisare; per alcuni la scelta del silenzio non equivale a taciturnità o disamore per la parola, ma anzi implica un’altissima valutazione del linguaggio stesso e dei suoi poteri. Colui che ama il silenzio ama, di certo, la parola responsabile, essenziale e autentica. Questi valori costituiscono l’essenza della concezione massonica del silenzio, inteso come metodo educativo e strumento di formazione iniziatica.
La tradizione iniziatica infatti risale a un tempo in cui i libri erano sconosciuti e chi voleva istruirsi doveva osservare, meditare e tacere. Il silenzio, così, non è da intendersi superficialmente come un dovere, ma diviene una necessità. Per poter imparare in modo autentico, chi ascolta deve tacere tutto dentro di sé e zittire ogni voce che proviene dal mondo profano. Un ascolto pieno lo porta a riconsiderare tutto ciò che credeva di sapere e di avere acquisito, a rimettere in discussione le proprie certezze. Egli si sente come un bambino che ha tutto da apprendere e al cui sguardo si schiudono orizzonti sempre nuovi; ricerca dentro di sé delle spiegazioni plausibili di ogni fenomeno che si offre ai suoi sensi e forza il suo spirito a immaginare ulteriori e differenti prospettive, sperando di poter arrivare, un giorno, a una comprensione più profonda della vita e una concezione relativa delle cose. Rimettendosi in causa giorno dopo giorno, impara con fatica ad aprire sé stesso al prossimo senza più difendersi e a comprenderlo e rispettarlo nei suoi sentimenti e nelle sue opinioni, per quanto lontani o diversi appaiano al suo sentire. Nel silenzio comprende l’importanza e l’immenso potere della parola e si augura di poterla, in futuro, utilizzare non per stupire, ma per trasmettere con semplicità e intensità i valori appresi.
Liberamente tratto dall’archivio di Delta (C. P.)