Sì, avete letto bene, e no, non mi sono sbagliato nello scegliere il titolo dell’articolo. La musica, stavolta, non è “sotto le stelle”, come alle feste di paese nelle domeniche di agosto, bensì “in mezzo alle stelle”, quelle nel cielo, proprio quelle!
Vengo e mi spiego. Perdonatemi, però, se la prendo un po’ alla lontana.
La nostra storia ha inizio a Cape Canaveral nel 1977 quando, a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, vennero lanciate nello spazio le sonde Voyager 1 e Voyager 2. Nel loro nome era già inscritto il loro destino. Di strada, da allora, ne hanno macinata, tanto da diventare gli unici manufatti ancora funzionanti, realizzati dal genere umano, ad aver superato i confini del sistema solare. Già… perché dopo aver visitato Giove, Saturno e i più schivi Urano e Nettuno, i due gemelli spaziali si sono diretti su rotte paraboliche che li hanno portati, dopo quasi mezzo secolo, nello spazio interstellare.
Se quanto finora scritto può sembrarvi assurdo, sappiate che siamo ancora all’inizio. Di curiosità e stranezze in questo racconto ce ne sono una quantità galattica, a partire dal contenuto delle loro “stive” – se sono navicelle, dovranno pur averne una, no? – consistente in due dischi d’oro. Non placcati, d’oro massiccio!
La NASA non ha proprio badato a spese per equipaggiare i nostri viaggiatori. Del resto, ne andava della reputazione e del lustro del nostro “amichevole pianetino di quartiere”. Beh, la citazione di marvelliana memoria, forse, non calza proprio a pennello in riferimento all’aggettivo qualificativo, ma è funzionale a dare, in primis, un taglio nerd allo scritto e, in secundis, ad enfatizzare quanto siamo insignificanti nell’immensità dell’universo, alla stregua di pulviscolo disperso in una tempesta di sabbia.
Riappropriandoci di un tono leggero, dopo la drammatica similitudine or ora esposta, entriamo nel vivo della narrazione.
I dischi di cui sopra contenevano suoni e rumori della natura, versi di animali, una selezione di musiche e il suono della voce umana. Fin qui, direte, lodevole iniziativa. Senza dubbio, si tratta di un bel biglietto da visita nei confronti di quelle improbabili civiltà che, fra cento o un milione di anni, dovessero imbattersi in un catorcio cosmico che ai loro occhi apparirebbe non dissimile dalla “flintmobile” degli Antenati! Così, per meglio figurare, gli esperti del pianeta hanno selezionato delle musiche di tutto rispetto che spaziano dal blues di Louis Armstrong, al rock di Chuck Berry, dalle melodie e canti tradizionali giapponesi, indiani e cinesi, alle danze tribali e rituali dei pigmei, dei giavanesi e dei nativi americani, solo per citarne alcuni. Fra i generi musicali inseriti nel “Voyager’s Golden Record, The Sounds Of Earth”, la musica classica occidentale è quello maggiormente rappresentato, mentre fra i compositori la fanno da padroni Bach (con tre tracce audio), Beethoven (con due) e Mozart, la cui aria della Regina della notte, tratta dal Flauto Magico, è interpretata dall’insuperabile Edda Moser. Inspiegabilmente, grandi assenti risultano essere personalità del calibro di Vivaldi, Verdi e Rossini.
Il disco è anche arricchito da ben cinquantacinque saluti, formulati da altrettanti individui di entrambi i sessi. Alcuni di essi sono formali, come nel caso dell’Ucraina: "Vi inviamo un saluto dal nostro mondo, augurandovi felicità, benessere, salute e longevità"; altri amichevoli, come nell’omaggio thailandese: "Salve amici provenienti da mondi lontani. Da questo pianeta, inviamo a tutti voi i nostri più calorosi saluti"; altri “troppo amichevoli”, come nell’incauto invito a cena – hai visto mai che non sono vegani! - recitato in dialetto Amoy: "Amici dello spazio, come state? Avete già mangiato? Venite a visitarci, se avete tempo"; altri ancora misurati, come l’ossequio in greco antico: "Saluti a voi, ovunque voi siate. Noi veniamo in amicizia per coloro che sono amici"; e poi c’è lui, il saluto che non ti aspetti e di cui, francamente, faresti volentieri a meno… quello, ahimè, nostrano: "Tanti auguri e saluti".
Dalla scelta delle musiche e dei saluti appare evidente che nella commissione selezionatrice non ci fosse alcun italiano. Tuttavia, per onestà intellettuale, bisogna riconoscerle il merito di aver inserito nel novero alcune lingue estinte o parzialmente tali come l’ittita, l’accadico, l’aramaico e il sumero.
A chiosa dell’istrionico articolo, tralasciando il disarmante siparietto dell’America bacchettona degli anni settanta per cui non poterono essere disegnati degli esseri umani nudi sul disco dorato, vorrei includere il messaggio inciso dall’allora presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, che recita pressappoco così: "Questo è un regalo da un piccolo mondo lontano, un simbolo dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Noi stiamo cercando di sopravvivere al nostro tempo, così da poter vivere nel vostro. Questa registrazione rappresenta la nostra speranza, determinazione e buona volontà in un vasto e imponente universo."
In mancanza di un disco aureo sul quale incidere la mia voce, con l’augurio di poterci presto reincontrare su queste pagine per disquisire di amenità stellari, vi lascio, porgendovi un saluto galattico e pregandovi di perdonare l’ennesima “licenza poetica”: "Per sapientiam ad astra."
Il vostro scriba delle stelle.
Astri Scriptor