"vedere è già un'operazione creativa che richiede uno sforzo"
H. Matisse
Francis Crick, co-scopritore della struttura del DNA, nell’illustrare come dovremmo spiegare la visione, ha sostenuto che, per quanto ci sembri di avere nel cervello un’immagine del mondo visivo, in realtà ne abbiamo una rappresentazione simbolica, un’ipotesi. Egli afferma: “qui abbiamo un esempio di simbolo. L’informazione contenuta in un computer non è l’immagine, ma simboleggia l’immagine. Un simbolo è qualcosa che sta per qualcos’altro, proprio come fa una parola…… Un simbolo non deve essere una parola……. Chiaramente, quello che ci aspettiamo di trovare nel cervello è una rappresentazione della scena visiva in qualche forma simbolica.”
Sappiamo oggi che tutte le nostre percezioni del mondo esterno – visioni, suoni, odori, sapori e sensazioni tattili - iniziano nei nostri organi di senso. La visione inizia negli occhi, che rilevano informazioni sul mondo esterno in termini di luce. Il cristallino dell’occhio concentra e proietta una piccola immagine bidimensionale sulla retina, dalle cui cellule specializzate emergono dei dati che creano nel cervello rappresentazioni in forma di codici neurali. È quindi nella costruzione di queste rappresentazioni interne del mondo visivo che si concretizza la creatività del cervello: l’occhio, infatti, non funziona come una macchina fotografica, ma, come afferma lo psicologo cognitivo Chris Frith, “ciò che percepisco non sono gli indizi grezzi ed ambigui che dal mondo esterno arrivano ai miei occhi, …. Percepisco qualcosa di assai più ricco, un’immagine che combina tutti questi segnali grezzi con un’enorme quantità di esperienze passate… La nostra percezione del mondo è una fantasia che coincide con la realtà”.
La creatività del cervello si evidenzia nella capacità del sistema visivo di identificare la stessa immagine in condizioni di luce e di distanza differenti, nella capacità di percepire un oggetto come costante nonostante i cambiamenti di taglia, forma, luminosità e distanza, nella capacità di trasformare schemi luminosi transitori e bidimensionali sulla retina in un’interpretazione coerente e stabile del mondo tridimensionale.
L’elaborazione della percezione visiva inizia, quindi, nella retina, per mezzo della trasmissione attiva delle immagini che vengono trasformate in un modello di potenziali d’azione, sfruttando un vasto numero di fotorecettori e cellule nervose che lavorano in parallelo secondo principi di elaborazione che offrono una grande potenza di calcolo, e procede nel nucleo genicolato laterale del talamo e successivamente attraverso una trentina di aree visive della corteccia cerebrale. Nella corteccia temporale inferiore, la regione più elevata del cervello visivo, i neuroni rispondono a forme complesse, a scene visive, a specifici luoghi, alle mani, ai corpi e in particolare alle facce, ma anche al colore, alla localizzazione nello spazio e al movimento di queste forme. I segnali inviati dai neuroni, alla fine, producono ciò che diventa la nostra consapevolezza cosciente degli aspetti distintivi di un’immagine visiva.
La luce richiesta dalla visione è catturata dagli occhi in forma di radiazioni elettromagnetiche caratterizzate da onde di varia lunghezza prodotte da particelle chiamate fotoni, riflesse dagli oggetti che vediamo. La visione umana cattura una stretta banda di queste lunghezze d’onda, che si estende da 380 nanometri, percepiti come viola profondo, a 780 nanometri, percepiti come rosso scuro. Quando i fotoni di luce emessi da un’immagine raggiungono il cristallino dell’occhio, questi li concentra sulla retina, dove vengono catturati dai fotorecettori, insieme ordinato di cellule nervose fotosensibili, che rispondono ai fotoni di luce convertendoli in schemi di segnali elettrici trasmessi alle cellule gangliari della retina, neuroni in uscita dalla retina, i cui assoni formano il nervo ottico che porta l’informazione alla corteccia visiva primaria. In questo modo la retina acquisisce ed elabora tutti gli effetti del mondo visivo esterno e li trasmette al sistema visivo cerebrale.
Negli studi sulla percezione visiva, Sthephen Kuffler (1913-1980), dimostrò, tra l’altro, che il sistema nervoso visivo risponde solo a quelle parti di un’immagine in cui l’intensità della luce cambia, cioè scoprì che le cellule gangliari della retina non rispondono ai livelli assoluti di luce, ma al contrasto tra luce e buio. Scoprì dunque la straordinaria importanza del contrasto per i processi di segnalazione nella retina, preparando la strada alle ancora più sorprendenti intuizioni sulla visione che dovevano emergere dagli studi sulla corteccia visiva.
"l'occhio non basta, bisogna anche pensare"
P. Cezanne
Il lavoro di smistamento dell’informazione visiva avviene dunque nelle regioni della corteccia cerebrale destinate alla visione. Ispirato dalle scoperte di Kuffler, Hubel e Wiesel sul modo in cui il cervello decostruisce la forma, il neurobiologo britannico David Marr, coniugando la psicologia cognitiva della percezione visiva con la comprensione della fisiologia del sistema visivo ottenuta da Kuffler, sostenne che la percezione visiva procede attraverso una serie di passi di elaborazione delle informazioni, o rappresentazioni, ognuno dei quali trasforma ed arricchisce il precedente.
I neuroscienziati contemporanei hanno quindi sviluppato un modello di elaborazione dell’informazione visiva in tre stadi:
- il primo stadio è rappresentato dalla elaborazione visiva di basso livello, che stabilisce le caratteristiche di una particolare scena visiva individuando la posizione di un oggetto nello spazio ed identificandone il colore.
- Il secondo stadio, che inizia nella corteccia visiva primaria, consiste nella elaborazione visiva di livello intermedio: assembla semplici segmenti lineari, ciascuno con uno specifico asse di orientamento, ottenendo contorni che definiscono i confini dell’immagine, costruendo una percezione unitaria della forma di un oggetto; questo processo viene definito integrazione del contorno; al tempo stesso separa l’oggetto dallo sfondo, definito processo di segmentazione della superficie. Tale fase è ritenuta particolarmente impegnativa, in quanto richiede alla corteccia visiva primaria di determinare quali siano i segmenti appartenenti ai vari oggetti nel contesto di una scena visiva complessa, composta da centinaia o addirittura da migliaia di segmenti di linea, prendendo anche in considerazione i ricordi di precedenti esperienze percettive, che sono memorizzati nelle aree superiori del sistema visivo.
- Il terzo stadio, l’elaborazione visiva di alto livello, che si dipana lungo la via della corteccia visiva primaria alla corteccia temporale inferiore, stabilisce categorie e significati. Qui il cervello integra l’informazione visiva con l’informazione utile proveniente da una varietà di altre fonti, che permette di riconoscere oggetti specifici, volti e scene.
Questi studi sull’elaborazione visiva iniziano a spiegarci le strategie di un artista per evocare su una superficie bidimensionale oggetti e figure umane tridimensionali: gli artisti hanno compreso che gli oggetti sono definiti dalle loro forme, che a loro volta derivano dai loro bordi. Nella pittura si può rappresentare un bordo mediante un cambiamento di colore o di luminosità da una regione all’altra o con una linea implicita; ciò dimostra come le cellule cerebrali siano bravissime a leggere le linee e i contorni come bordi. Il neuroscienziato Charles Stevens ha rilevato che per riconoscere immediatamente e senza sforzo la rappresentazione di un volto siano sufficienti poche particolari linee di contorno, quelle che definiscono gli occhi, la bocca ed il naso. Questo permette agli artisti di sottoporre un volto a distorsioni estreme, senza pregiudicare la capacità di riconoscerlo da parte del cervello dell’osservatore, attraverso una ricostruzione creativa di percezione ed interpretazione dell’opera d’arte.
La capacità del cervello di tollerare illusioni, o una fisica semplificata, nelle opere d’arte dimostra la sua notevole flessibilità visiva, che ha permesso ai pittori, attraverso i secoli, di prendersi notevoli libertà nella presentazione di una scena visiva senza con ciò sacrificare la credibilità dell’immagine; tali libertà vanno dalle sottili manipolazioni e alterazioni di luci e ombre degli artisti del Rinascimento sino alle drastiche distorsioni spaziali e cromatiche degli espressionisti austriaci. Tutto questo ci illumina sul modo in cui il cervello crea il senso delle immagini, sul modo in cui il cervello inconscio crea ciò che vediamo.
M. A.