Siamo abituati a considerare il famoso detto: “La Cultura Rende Liberi”, come una verità assoluta. Purtroppo non è così. E non lo è per due motivi, uno dovuto ad un errore intrinseco al detto stesso, ed uno dettato dall’incedere dei tempi. Cominciamo dal primo errore, che è fondamentale: “La cultura rende liberi.” è una massima attribuita a Seneca, dalle Lettere a Lucilio. Bene, potrete leggere tutte le lettere a noi pervenute, ma non troverete questa massima da nessuna parte. Si tratta di un concetto di terzi estrapolato dal contenuto dell’opera. Ma chi lo ha fatto, o era in cattiva fede, o ha dato dimostrazione di grande ignoranza. Quanto espresso, infatti, è quasi all’opposto delle affermazioni di Seneca.
Dice, infatti, Seneca:
“Per un uomo di sicura preparazione è disdicevole raccogliere qua e là fiorellini e sostenersi su notissime e pochissime massime e basarsi sulla memoria: si appoggi ormai su sé stesso. Esprima questi concetti, non li tenga a memoria; è disdicevole infatti per un vecchio o per uno che guarda da vicino la vecchiaia essere ben informato in base a una raccolta. "Questo l'ha detto Zenone": tu che cosa dici? "Questo Cleante": tu che cosa dici? Fino a quando ti muoverai sotto un altro? Prendi il comando e di' ciò che possa essere tramandato al ricordo, tira fuori qualcosa anche di tuo.” [Certi profectus viro captare flosculos turpe est et fulcire se notissimis ac paucissimis vocibus et memoriā stare: sibi iam innitatur. Dicat ista, non teneat; turpe est enim seni aut prospicienti senectutem ex commentario sapere. "Hoc Zenon dixit": tu quid? "Hoc Cleanthes": tu quid? Quousque sub alio move‹be›ris? Impera et dic quod memoriae tradatur, aliquid et de tuo profer.] (Lettera XXIII)
La cultura, per Seneca, non è libertà, ma uno strumento e, come tale, capace di portare alla libertà, ma anche alla schiavitù. Come ciò avvenga lo spiegheremo oltre. Per adesso soffermiamoci sul dare una motivazione a quanto affermato. Per Seneca se vuoi avere la vera libertà devi farti servo della filosofia: “Ciò si farà non a mie spese: saccheggiamo ancora Epicuro, del quale oggi ho letto questa affermazione: "bisogna che tu sia schiavo della filosofia, perché ti tocchi in sorte la vera libertà". Non viene rinviato di giorno in giorno colui che si è sottomesso e consegnato a lei: viene messo in circolazione subito; questo stesso fatto, essere schiavo della filosofia, è infatti libertà.” [Id non de meo fiet: adhuc Epicurum compilamus, cuius hanc vocem hodierno die legi: "philosophiae servias oportet, ut tibi contingat vera libertas". Non differtur in diem qui se illi subiecit et tradidit: statim circumagitur; hoc enim ipsum philosophiae servire libertas est.] (Lettera VIII)
Seneca fa proprie le parole di Epicuro, spiegandole successivamente, e dando come unico mezzo per il raggiungimento della felicità la Filosofia, tutti gli altri sono strumenti. Occorre, quindi cercare di comprendere cosa sia la filosofia per Seneca: “Pertanto in primo luogo, se ti sembra opportuno, direi qual è la differenza tra la sapienza e la filosofia. La sapienza è il bene perfetto della mente umana; la filosofia è l'amore e la predilezione per la sapienza: questa tende là dove quella giunge. La filosofia appare donde sia definita; infatti con lo stesso nome manifesta cosa prediliga. Alcuni circoscrivono la sapienza in modo tale da definirla la conoscenza delle cose divine e umane; alcuni (dicono) così: la sapienza è il conoscere le cose divine e umane e le cause di esse. Quest'aggiunta mi sembra superflua, perché le cause divine e umane sono parte di quelle divine.
Infatti vi furono anche coloro che circoscrissero la filosofia in vari modi: alcuni dissero che quella era lo zelo per la virtù, altri lo zelo per correggere la mente; da alcuni fu definita il raggiungimento del giusto raziocinio. Ciò stabilisce per così dire, che c'è qualche differenza tra la filosofia e la sapienza; non può infatti avvenire che ci sia la stessa cosa cioè che sia ambita e che ambisca. Come c'è molta differenza tra l'avarizia e il denaro, mentre quella desidera, questa sia desiderata, così (c'è differenza) tra la filosofia e la sapienza. Questa infatti è l'effetto e il premio di quella; quella giunge, attraverso questa si procede. La sapienza è quella che i Greci chiamano "sophian". Anche i Romani utilizzavano questo termine, come ora utilizzano anche la filosofia.”
[Primum itaque, si videtur tibi, dicam inter sapientiam et philosophiam quid intersit. Sapientia perfectum bonum est mentis humanae; philosophia sapientiae amor est et adfectatio: haec eo tendit quo illa pervenit. Philosophia unde dicta sit apparet; ipso enim nomine fatetur quid amet. Sapientiam quidam ita finierunt ut dicerent divinorum et humanorum scientiam; quidam ita: sapientia est novisse divina et humana et horum causas. Supervacua mihi haec videtur adiectio, quia causae divinorum humanorumque pars divinorum sunt. Philosophiam quoque fuerunt qui aliter atque aliter finirent: alii studium illam virtutis esse dixerunt, alii studium corrigendae mentis; a quibusdam dicta est adpetitio rectae rationis. Illud quasi constitit, aliquid inter philosophiam et sapientiam interesse; neque enim fieri potest ut idem sit quod adfectatur et quod adfectat. Quomodo multum inter avaritiam et pecuniam interest, cum illa cupiat, haec concupiscatur, sic inter philosophiam et sapientiam. Haec enim illius effectus ac praemium est; illa venit, ad hanc itur. Sapientia est quam Graeci "sophian" vocant. Hoc verbo Romani quoque utebantur, sicut "philosophia" nunc quoque utuntur.] (Lettera LXXIV)
Parliamo, quindi, di Sapienza e di Filosofia: la filosofia è l'amore e la predilezione per la sapienza. La filosofia rende liberi perché predilige, sopra tutte le cose, l’uso della sapienza e la sapienza è il bene perfetto della mente umana. La sapienza, spesso indicata come saggezza, è il nodo quindi. Si tratta della Sofia greca e solo procedendo attraverso la filo-sofia, si raggiunge la sofia. Cosa sia la sapienza, ci viene detto chiaramente: la sapienza è il conoscere le cause divine. Ovviamente le cause divine di Seneca sono differenti dalle cause divine del mondo moderno, e si tratta delle cause superiori, legate al funzionamento dell’universo che regola ogni cosa. Si tratta dello stato di natura classico, quello che rappresenta l’equilibrio universale e l’unione del tutto. In Seneca, infatti, la filosofia è fondata sui concetti di Natura e Ragione: l’uomo deve conformarsi alla Natura, intesa come regola superiore universale, e seguire la Ragione, intesa come uso dell’intelletto per la comprensione dell’Universo.
La continua ricerca della Regola Universale attraverso il proprio intelletto rappresenta, quindi, la Filosofia, che porta alla Sapienza/Saggezza e rende liberi. “Vivere con saggezza significa vivere pienamente, non disperdere i propri giorni e le proprie energie in occupazioni e preoccupazioni vane, perché in realtà, non è che di tempo ne abbiamo poco; ne sprechiamo tanto [Non exiguum temporis habemus, sed multum perdimus.] (De Brevitate Vitae, cap. 1) Vivere, afferma Seneca, significa disporre di ogni giorno come della vita intera [Longam illi vitam facit omnium temporum in unum collatio.] (De Brevitate Vitae, cap. 15). Solo in questo modo è possibile un’esistenza completa. La vita infatti sarebbe lunga ma l’essere umano l’accorcia dissipandola. Siamo proprio noi a renderla breve e ciò risulta evidente se pensiamo a quanto tempo impieghiamo ad accumulare denaro, ad abbandonarci a effimeri divertimenti e a passioni superflue di ogni genere. Seneca sostiene che la maggior parte degli uomini disperdono il proprio tempo perché corrono solo dietro a faccende inutili [sero intellegunt miseri tam diu se dum nihil agunt occupatos fuisse.] (De Brevitate Vitae, cap. 16). Per questo egli scrive che molti uomini sono rimasti a lungo su questa terra ma non hanno vissuto a lungo, sentenza da cui emerge, come ribadisce anche nelle Lettere a Lucilio, che non è la durata della vita che conta, ma l’uso che di essa ne viene fatto. L’autore è consapevole che l’arte di vivere saggiamente è una lunga e faticosa conquista e per questo afferma: per imparare a vivere ci vuole tutta la vita e, cosa ancor più stupefacente, ci vuole tutta la vita per imparare a morire. [vivere totā vitā discendum est et, quod magis fortasse miraberis, tota vita discendum est mori.] (De Brevitate Vitae, cap. 16).
Il segreto consiste nel desiderio e nella ferma volontà di conoscere i propri moti interiori e nel prestare ascolto alla propria coscienza. Agire secondo coscienza significa essere sempre presenti a se stessi. In ogni azione, in ogni espressione, in ogni decisione chiedersi il senso di quanto si sta compiendo, evitando, come capita ai più, di interrogarsi sulle proprie gesta solo dopo averle compiute. Anche in questo consiste la saggezza, celebrata da Seneca con le seguenti parole: «soli fra tutti raggiungono la vita serena coloro che si dedicano alla sapienza; sono i soli che sanno vivere» [Soli omnium otiosi sunt qui sapientiae vacant, soli vivunt] (De Brevitate Vitae, cap. 14). Le molteplici difficoltà che attraversiamo nella nostra esistenza, esigono un rimedio efficace che parta dalla sorgente interiore presente in ciascuno. La saggezza è questo rimedio. Seneca asserisce che, quando non è possibile modificare gli eventi esternamente, è possibile risolverli e modificarli interiormente e questo dipende da come ci disponiamo verso gli eventi stessi.” (LA SAGGEZZA COME ANTIDOTO ALLA DISPERAZIONE, Alessandro Tonon - http://www.lachiavedisophia.com)
Per Seneca il saggio è consapevole del presente e pronto ad affrontare il futuro, ma anche padrone del passato, del proprio come di quello di chi l'ha preceduto. L'obbiettivo ultimo del sapiente è raggiungere la sapienza e quindi la libertà interiore. [ Sapientis ergo multum patet vita; non idem illum qui ceteros terminus cludit; solus generis humani legibus solvitur; omnia illi saecula ut deo serviunt. Transiit tempus aliquod? Hoc recordatione comprendit; instat? Hoc utitur; venturum est? Hoc praecipit. Longam illi vitam facit omnium temporum in unum collatio.] (De Brevitate Vitae, cap. 15). “ll saggio in ogni cosa guarda al proposito, non all'esito; cominciare dipende da noi, del risultato, invece, decide la sorte e io non le riconosco il diritto di giudicarmi.” [Denique consilium rerum omnium sapiens, non exitum spectat; initia in potestate nostrā sunt, de eventu fortuna iudicat, cui de me sententiam non do.] (Lettera XIV), da cui traspare che obbligo dell’uomo saggio è iniziare il percorso secondo la Filosofia, il risultato non essendo dipendente solo dal suo volere. La Libertà sta quindi, nel metodo e non negli strumenti.
“Tu vuoi sapere che cosa penso degli studi liberali: non stimo, non considero un bene studi che sfociano in un guadagno. Sono arti venali, utili se allenano la mente, ma non la occupano del tutto. Bisogna dedicarvisi finché l'animo non è in grado di trattare una materia più impegnativa; sono il nostro tirocinio, non il nostro lavoro. Perché si chiamano studi liberali lo capisci: perché sono degni di un uomo libero. Ma l'unico studio veramente liberale è quello che rende liberi, cioè lo studio della saggezza, sublime, forte, nobile: gli altri sono insignificanti e puerili.” [De liberalibus studiis quid sentiam scire desideras: nullum suspicio, nullum in bonis numero quod ad aes exit. Meritoria artificia sunt, hactenus utilia si praeparant ingenium, non detinent. Tamdiu enim istis inmorandum est quamdiu nihil animus agere maius potest; rudimenta sunt nostra, non opera. Quare liberalia studia dicta sint vides: quia homine libero digna sunt. Ceterum unum studium vere liberale est quod liberum facit, hoc est sapientiae, sublime, forte, magnanimum] (Lettera LXXXVIII). Per Seneca, quindi, l’unica arte che rende liberi è la ricerca della Sapienza, cioè la Filosofia.
Ma come facciamo a sapere le la strada che seguiamo è corretta?
“Per due motivi noi erriamo: o c'è nell'animo una perversità prodotta da convinzioni malvagie, oppure, anche se esso non è in preda all'errore, vi è incline e, fuorviato dalle apparenze, fa presto a rovinarsi. Perciò dobbiamo o curare bene lo spirito ammalato e liberarlo dai vizi, oppure, se ne è libero, ma è propenso al male, prenderne possesso in tempo. I principî della filosofia hanno sia l'uno che l'altro effetto” [Duo sunt propter quae delinquimus: aut inest animo pravis opinionibus malitia contracta aut, etiam si non est falsis occupatus, ad falsa proclivis est et cito specie quo non oportet trahente corrumpitur. Itaque debemus aut percurare mentem aegram et vitiis liberare aut vacantem quidem sed ad peiora pronam praeoccupare. Utrumque decreta philosophiae faciunt] (Lettera XCIV), pertanto non è importante, la Filosofia correggerà il percorso errato.
Come?
“La filosofia, - dice Aristone, - si divide in conoscenza e stato morale; chi ha imparato e capìto le azioni da compiere e quelle da evitare, non è ancora saggio se il suo animo non si è modellato su quanto ha appreso. Questa terza parte, cioè l'insegnamento, deriva sia dalla dottrina che dallo stato morale, perciò è superflua per conseguire la virtù: bastano le prime due.” [‘Philosophia’ inquit ‘dividitur in haec, scientiam et habitum animi; nam qui didicit et facienda ac vitanda percepit nondum sapiens est nisi in ea quae didicit animus eius transfiguratus est. Tertia ista pars praecipiendi ex utroque est, et ex decretis et ex habitu; itaque supervacua est ad implendam virtutem, cui duo illa sufficiunt.] (Lettera XCIV), quindi la Filosofia è sufficiente a sé stessa: non servono maestri, ma il metodo corregge e permette di progredire, questo perché “La natura non ci mette sulla strada del vizio: ci ha generati puri e liberi.” [Nulli nos vitio natura conciliat: illa integros ac liberos genuit.] (Lettera XCIV) e, quindi, agire secondo natura comporta agire correttamente ed emendare gli errori. “Sbagli se pensi che i vizi nascano con noi: sono venuti dopo, si sono accumulati in noi. Respingiamo, perciò con moniti frequenti, i pregiudizi che ci rintronano.” [Erras enim si existimas nobiscum vitia nasci: supervenerunt, ingesta sunt. Itaque monitionibus crebris opiniones quae nos circumsonant repellantur.] (Lettera XCIV)
Per cui appare chiaro come l’errore sia enorme: non è la cultura ma la Filosofia a rendere liberi. La cultura è solo uno strumento, ma può essere pericoloso. Consideriamo le dittature, dove la cultura è indotta. Questa cultura non rende affatto liberi. Seneca ne parla ampiamente, e misconosce il valore della cultura come mezzo. Il metodo è l’unico mezzo, e questo metodo è la Filosofia, attraverso cui occorre filtrare tutta la cultura. Confondere la cultura con la conoscenza è un errore enorme, se non in malafede. E qui giungiamo al secondo motivo per cui il detto non è una verità: siamo stati e siamo, ancora oggi, testimoni di una trasmissione di cultura viziata. La cultura è spesso indotta.
Il citazionismo rende vere le affermazioni estrapolandole dal contesto in cui sono collocate ed usandone le parole come concetti, giungendo a distorcere il pensiero di chi ha creato quelle parole. Non viene richiesta controprova. Oggi di cultura ce n’è anche troppa, di verità poca. Ma la Verità non deve essere consegnata da altri. La Verità va cercata in noi stessi, attraverso la Filosofia di Seneca. Facendo attenzione, però, a ciò che diceva Plutarco: “Alcuni allievi non vogliono avere seccature quando sono per conto loro, ma ne procurano all'insegnante, facendo continuamente domande sugli stessi argomenti, come uccellini implumi che stanno sempre a bocca aperta verso la bocca altrui e vogliono ricevere tutto già pronto e predigerito dagli altri. ...Infatti la mente non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma, come legna da ardere, ha bisogno solo di una scintilla che la accenda, che vi infonda l'impulso alla ricerca e il desiderio della verità.”(Plutarco di Cheronea, L'arte di ascoltare) [oὐ γὰρ ἐθέλουσι γενόμενοι καθ' αὑτοὺς πράγματα ἔχειν, ἀλλὰ παρέχουσι τῷ λέγοντι, πολλάκις ἐκπυνθανόμενοι περὶ τῶν αὐτῶν, ὥσπερ ἀπτῆνες νεοσσοὶ κεχηνότες ἀεὶ πρὸς ἀλλότριον στόμα καὶ πᾶν ἕτοιμον ἤδη καὶ διαπεπονημένον ὑπ' ἄλλων ἐκλαμβάνειν ἐθέλοντες. ἕτεροι δὲ προσοχῆς καὶ δριμύτητος ἐν οὐ δέοντι θηρώμενοι δόξαν ἀποκναίουσι λαλιᾷ καὶ περιεργίᾳ τοὺς λέγοντας, ἀεί τι προσδιαποροῦντες τῶν οὐκ ἀναγκαίων καὶ ζητοῦντες ἀποδείξεις τῶν οὐ δεομένων· οὕτως ὁδὸς βραχεῖα γίγνεται μακρά, ὥς φησι Σοφοκλῆς, οὐκ αὐτοῖς μόνον ἀλλὰ καὶ τοῖς ἄλλοις. ἀντιλαμβανόμενοι γὰρ ἑκάστοτε κεναῖς καὶ περιτταῖς ἐρωτήσεσι τοῦ διδάσκοντος, ὥσπερ ἐν συνοδίᾳ, τὸ ἐνδελεχὲς ἐμποδίζουσι τῆς μαθήσεως, ἐπιστάσεις καὶ διατριβὰς λαμβανούσης. οὗτοι μὲν οὖν κατὰ τὸν Ἱερώνυμον ὥσπερ οἱ δειλοὶ καὶ γλίσχροι σκύλακες τὰ δέρματα δάκνοντες οἴκοι καὶ τὰ τίλματα τίλλοντες τῶν θηρίων αὐτῶν οὐχ ἅπτονται· τοὺς δ' ἀργοὺς ἐκείνους παρακαλῶμεν, ὅταν τὰ κεφάλαια τῇ νοήσει περιλάβωσιν, αὐτοὺς δι' αὑτῶν τὰ λοιπὰ συντιθέναι, καὶ τῇ μνήμῃ χειραγωγεῖν τὴν εὕρεσιν, καὶ τὸν [c] ἀλλότριον λόγον οἷον ἀρχὴν καὶ σπέρμα λαβόντας ἐκτρέφειν καὶ αὔξειν. οὐ γὰρ ὡς ἀγγεῖον ὁ νοῦς ἀποπληρώσεως ἀλλ' ὑπεκκαύματος μόνον ὥσπερ ὕλη δεῖται, ὁρμὴν ἐμποιοῦντος εὑρετικὴν καὶ ὄρεξιν ἐπὶ τὴν ἀλήθειαν (testo greco completo)]
Non è la cultura, quindi, a rendere liberi, ma la capacità di saper ragionare sulle cose in maniera libera da preconcetti, seguendo le regole di natura.
A. R.